VERBANIA – Giro di vite della Cassazione sugli immobili religiosi come conventi e abbazie che usufruiscono dell’esenzione dall’Ici quando vengono svolte attività commerciali come l’ospitalità a pagamento con le modalità del trattamento alberghiero. Per non pagare l’Ici sugli immobili, i responsabili degli istituti religiosi non possono autocertificare di non svolgere attività commerciale per accedere all’esenzione. Devono fare di più: devono dimostrare che l’attività svolta sia di natura assistenziale e che l’eventuale attività commerciale non sia quella principale o esclusiva. Sono cavilli, ma due sentenze della Cassazione in merito possono introdurre maggiori strumenti alle amministrazioni comunali per esigere il contributo fiscale laddove ritengano che non sussistano i requisiti. Come spesso avviene, si tratti di un pio istituto o un collegio di suore.
Il caso oggetto delle sentenze è emblematico. La contesa finita in tribunale opponeva il Comune di Cannobio (Verbania) e il Monastero delle Suore Orsoline. A Suor Maria Letizia U., rappresentante legale delle monache, l’amministrazione comunale chiedeva conto del fatto che nei mesi di luglio e agosto, le camere da letto un tempo destinate alle educande vengano aperte all’ospitalità di gruppi esterni. Il monastero affaccia sul Lago Maggiore ed è in grado di ospitare fino a 85 persone in 45 camere da letto con bagni privati. Suor Maria ha esibito, come risposta soltanto una dichiarazione che attesta le attività religiose del gruppo.
Ora, le sentenze 23314 e 23315, impongono che la Commissione Tributaria di Torino debba pretendere chiarimenti su tutte le attività svolte, verificando che quella alberghiera non sia quella principale. Che l’opera dell’istituto sia concretamente svolta senza le caratteristiche di un’attività commerciale deve essere provato, ma l’onere non può essere assunto dall’amministrazione comunale. Con la conseguenza che informazioni incomplete o reticenti configurerebbero una palese violazione delle leggi tributarie. Leggi evasione fiscale.
