ROMA – “Questo le sembra un covo di estremisti di destra? Io e mia moglie siamo di sinistra “: a parlare, intervistato da Repubblica è Ivo, il padre 73enne di Daniele De Santis, l’ultrà romanista indagato per omicidio volontario e accusato di aver sparato e ucciso Ciro Esposito, il 29enne di Scampia morto dopo un’agonia di 53 giorni al policlinico Gemelli.
Per la prima volta si ipotizza una dinamica diversa sul ruolo di suo figlio negli scontri.
«E noi per la prima volta abbiamo visto la luce. In questi mesi abbiamo letto di tutto. Daniele è stato dipinto come un mostro. Ma quelle descrizioni non corrispondono a nostro figlio. Lo conosciamo, non poteva essere vero. Gli avvocati cercavano di tranquillizzarci, ci dicevano che nelle carte c’erano scritte altre cose. Siamo andati avanti così, sperando nel lavoro dei magistrati».
Chi è, allora, Daniele De Santis?
«Un ragazzo forse esuberante, ma buono e generoso. Ha avuto qualche problema in passato, ma non è mai andato oltre la scazzottata. E non chiamatelo “Gastone”, lui per noi è “Danielino”».
E la pistola?
«Non l’abbiamo mai visto maneggiare armi. Poi c’è la ferita che ha in fronte. Gliel’hanno fatta con il calcio di una pistola. Vogliamo sapere cos’è successo veramente».
Contro Daniele ci sono molte testimonianze inequivocabili.
«Ma uno dei testimoni ha già detto che furono i napoletani ad aggredirlo. E spero che ce ne siano altri. Ripeto, Daniele non è un orco e ci addolora che si sia detto che voleva aggredire donne e bambini. Impossibile. E poi che razza di agguato sarebbe? Era a casa sua e i testimoni dicono che è uscito da solo, che cinque minuti prima stava mangiando un panino e che era a volto scoperto».
E gli altri quattro tifosi della Roma individuati dalla Digos?
«Non ne sappiamo nulla. Ma mi lasci finire. Sa cosa dice il suo vicino? Che ha parlato con Daniele un’ora prima che si scatenasse l’inferno e che si erano messi d’accordo per la cena. Gli aveva chiesto anche di comprare il cibo per i cani. Ci sono le telefonate, controllate ».
Torniamo agli spari e al pestaggio.
«Uno che pensa a un agguato non si comporta così, per di più accanto ai carabinieri (la caserma Salvo D’Acquisto è a meno di un chilometro, ndr ). E poi, se avesse voluto sparare a qualcuno, perché non avrebbe dovuto farlo subito? Daniele invece è scappato, cercando di chiudersi il cancello del centro sportivo alle spalle. Poi lo hanno massacrato ».
Da quel 3 maggio, com’è cambiata la vostra vita?
«Se solo potessimo cancellare quel giorno… La nostra vita è stata stravolta da una tragedia enorme. Un ragazzo è morto e nostro figlio è stato ridotto in fin di vita. Ancora rischia di perdere una gamba».
Avete visitato vostro figlio da quando è stato trasferito all’ospedale di Viterbo?
«Ci fidiamo dei medici, ma Daniele sta male. L’ultima volta che lo abbiamo visto era ricoperto di bubboni. Ora è di nuovo sotto antibiotici e sarà rioperato. Speriamo in buone notizie».
Siete riusciti a parlargli?
«Macché… è impossibile. Se gli chiediamo qualcosa, si ripete, poi piange o si chiude nel mutismo. Non è nemmeno riuscito a realizzare cosa gli sia successo. È svenuto due o tre volte mentre lo picchiavano».
Avete mai provato a contattare la famiglia di Ciro Esposito?
«No, rispettiamo il loro dolore. Abbiamo avuto paura che qualcuno pensasse a un gesto strumentale. Abbiamo pianto tanto anche noi. Siamo genitori e capiamo cosa si prova a perdere un figlio».