ROMA – Le cifre e la cronaca sono più o meno simili: la Repubblica e Il Giornale riportano dei dodici arresti, dei 70 feriti, dei saccheggi e delle devastazioni. Su tutti i giornali ci sono le immagini di Roma sventrata e ferita, le facce insanguinate, l’amarezza di chi in piazza c’era andato solo per manifestare in pace.
Quando si sfogliano le pagine e si arriva alle analisi, però, si resta spiazzati. I racconti divergono in modo inconciliabile e sembra che a Roma di cortei ce ne siano stati diversi, uno per schieramento politico. Prendiamo la sinistra e partiamo da Repubblica. Qui la cronaca, dettagliatissima, è affidata a Massimo Lugli che parte da un particolare , forse il più impressionante della giornata di sabato, quello della camionetta sequestrata e incendiata dai black bloc.
Da lì si snoda il racconto di una giornata da dimenticare, con i manifestanti e la polizia prigionieri di qualche migliaio di violenti che hanno messo a ferro e fuoco la città. Segue una messa a fuoco dei violenti, tra deliri alcol e slogan da samurai.
Basta voltare qualche pagina e Carlo Bonini prova ad analizzare quanto accaduto. Dalle prime righe si capisce il taglio: “In un giorno che sembra non debba finire mai, il questore di Roma Francesco Tagliente e il suo dispositivo di ordine pubblico conoscono la loro Caporetto”. Quindi la spiegazione: poca polizia e, soprattutto, guidata male.
I “neri” – scrive Bonini – hanno avuto gioco facile. Conoscevano il “format”. E hanno pianificato prima, e fatto poi, esattamente ciò che era in grado di mandarlo in corto-circuito. Hanno usato il corteo per proteggersi. Non ne hanno mai lasciato l’alveo, trasformandone il percorso in un sentiero di devastazione. Un sentiero che conoscevano e che avevano “armato” alla vigilia (come dimostra il ritrovamento in via Cavour, ieri sera, di una borsa con una decina di molotov e un cumulo di assi necessarie a costruire una rudimentale ariete). Consapevoli che non avrebbero incontrato resistenza”.
E qui arriva quello che secondo Bonini è il tragico errore della Questura: “”Alle 16, quando la prima scia di devastazione ha acceso il corteo in via Cavour, il questore prende la decisione destinata a trasformare le ore che restano in una battaglia che lo lascia sconfitto. In Largo Corrado Ricci, c’è infatti la possibilità di tagliare il corteo con i reparti schierati a protezione della “città proibita”. “Di andare dentro”, come grida qualche funzionario alla ricetrasmittente per andarsi a prendere quella cinquantina di “neri” che, per altro, il corteo ha isolato e, in qualche caso, anche aggredito a bottigliate. Ma Tagliente ordina che i reparti non lascino i varchi. L’idea è che i “neri” possano ritenersi sazi del bottino sin lì raccolto. Ovvero, come in serata spiega una fonte qualificata della Questura, che “quella prima devastazione in via Cavour sia solo una provocazione per spingere a una prima carica e far sguarnire così di uomini e mezzi i varchi che bloccano l’accesso verso Piazza Venezia, palazzo Grazioli, il Corso e dunque il Parlamento”. Di più. In largo Corrado Ricci, il questore è convinto che “non esistano i margini di sicurezza per intervenire”.
Il racconto del Giornale, invece, sembra quello di un altro evento. Già dal titolo di apertura “sono criminali” si capisce che l’accento è sugli scontri. Fino a che si rimane sulla cronaca, però, i fatti sono più o meno gli stessi. E’ l’interpretazione che cambia. A pagina cinque, un articolo firmato Gian Marco Chiocci e Massimo Malpica racconta la guerriglia vista dalla polizia. La sola cosa che coincide con la versione di Bonini è l’ordine di non intervenire.
Dice un poliziotto: “Maledetti! Guardate là il collega ferito, è la fine del mondo, guardate quanti incappucciati circondano il blindato dei carabinieri. Altro che pochi violenti isolati,diamine.È un’altra Genova,questa. E noi stiamo qui a fare le belle statuine mentre in testa ci piove di tutto. Fermi, dietro ai blindati, carne da macello mentre quelli (indica il furgone dell’Arma circondato dai black bloc, ndr ) alposto di guida vedono la morte in faccia e magari pensano a quello là, come si chiamava, a quello che ha sparato a Giuliani a Genova. Una follia, cazzo. Una follia. Questa maledetta politica buonista è una follia. Perché la parola d’ordine sapete qual è? La volete sapere? Abbozzare. Attendere. Ripiegare. Non rispondere. Dobbiamo ab-boz-za-re sempre e comunque! Dal G8 di Genova l’ordine è sempre quello, altrimenti ci danno della polizia cilena e fascista”.
Per sottolineare la tesi, il Giornale pubblica, in fondo alla stessa pagina, luna foto ormai storica, con questa didascalia: Era il 20 luglio 2001 quando a Genova, durante il G8 morì Carlo Giuliani, colpito da un proiettile mentre stava per colpire un poliziotto nella camionetta lanciandogli addosso un estintore. La scena è molto simile, per difetto, a quelle riprese nel pomeriggio di sabato 15 a Roma: un giovane mascherato che sta per lanciare una bombola, un trave che entra nel finestrino della camionetta lato passeggero. Questa volta i carabinieri hanno avuto un maggiore controllo dei nervi.
Eppure è l’accusa del Giornale, su “Indymedia era tutto scritto: bagno di sangue”. Il quotidiano si riferisce al sito web vicino alla sinistra antagonista, sito dove si leggevano frasi tipo “Smettiamola di dire che bisogna manifestare in maniera pacifica – scriveva un altro – qualunque persona che ci rappresenterà, in maniera pacifica, sarà corruttibile e diventerà corrotta. Faremo un bordello che ci sentiranno sino in Australia”.
Quanto alle accuse alla decisione della Questura di non intervenire il Giornale contrattacca: “Accusa vigliacca” che “serpeggia” negli ambienti progressisti e su Facebook.
Di certo, 24 ore dopo gli scontri, restano solo i numeri: oltre 70 feriti, 12 arresti, danni per milioni di euro, ancora tutti da stimare.
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