ROMA – Insultare il capo non costa il licenziamento. Cassazione (effetto legge Fornero). Se ti rivolgi con insulti o parole offensive al tuo superiore non sei passibile di un provvedimento drastico come il licenziamento. La Corte di Cassazione, peraltro recependo la legge Fornero, ha stabilito che gli insulti, configurandosi come insubordinazione lieve meritano al massimo una sanzione conservativa, come prevede il contratto collettivo. Sull’argomento Giuseppe Bulgarini D’Elci del Sole 24 Ore spiega bene la ratio seguita dai giudici e gli effetti della riforma Fornero sui licenziamenti disciplinari.
A tale conclusione è pervenuta la Cassazione con la sentenza 2692/15 sul presupposto che ad attenuare gli effetti della condotta offensiva e volgare contro il superiore, come tale connotata dei tratti tipici della insubordinazione, si ponevano la convinzione del lavoratore di essere vittima di una delazione e l’ulteriore circostanza per cui non era stata rifiutata da quest’ultimo la prestazione lavorativa e neppure risultavano contestati i poteri gerarchici del responsabile aziendale. Su tali considerazioni, è stata confermata la decisione della corte territoriale di annullare il licenziamento in tronco e disporre la reintegrazione sul posto di lavoro del dipendente.
La sentenza costituisce la rappresentazione plastica degli effetti che direttamente discendono dal nuovo regime dell’articolo 18 di cui alla legge 300/70, in punto di tutela sanzionatoria ricollegata all’illegittimità del licenziamento disciplinare. La legge Fornero, che ha introdotto nell’articolo un nuovo comma 4, ha limitato la reintegrazione in servizio alle ipotesi in cui il licenziamento disciplinare sia fondato sulla contestazione di fatti insussistenti o di fatti disciplinarmente rilevanti a cui, tuttavia, la contrattazione collettiva o i codici disciplinari applicabili ricolleghino una sanzione conservativa. (Giuseppe Bulgarini D’Elci, Il Sole 24 Ore)