Perché mai noi italiani dovremmo iniziare il nuovo anno ascoltando orchestre e direttori suonare la Marcia di Radetzky mentre battiamo allegri le mani? Perché cominciare il 2011, e le celebrazioni per i 150 anni della nostra identità nazionale, rendendo omaggio a Josef Radetzky, il feldmaresciallo austriaco che nella battaglia di Curtatone massacrò centinaia di studenti toscani venuti a combattere per l’indipendenza? Che a Custoza umiliò il re Carlo Alberto, poi assediò e vinse per fame e colera la Repubblica veneziana del 1849 e, nominato Governatore generale del Lombardo Veneto, fece eseguire mille condanne a morte di patrioti e diede l’ordine di bastonare in pubblico e di saccheggiare le case e i palazzi di chi era sospettato di aver simpatizzato con i primi moti del Risorgimento? Come se i francesi celebrassero Bismarck, o i polacchi Stalin.
Se lo chiede Sandro Cappelletto su La Stampa spiegando che la Marca di Radetzky, composta da Johann Strauss in un caffè all’aperto di Vienna per festeggiare “la Gran vittoria, con allegorica e simbolica rappresentazione e luminarie eccezionali, in onore dei nostri coraggiosi soldati in Italia”.
Cappelletto propone poi un altro tema per le celebrazioni. Un tema forse a noi più caro e che meglio potrebbe rappresentarci. Un secolo dopo la “Marcetta” infatti Nino Rota, per la scena finale di “8½” di Federico Fellini, ha creato una musica che ci rappresenta alla perfezione: tutti in cerchio a correre intorno al nulla, uniti in una danza senza inizio e senza fine.