Il padre la obbligava ad indossare il velo islamico, impedendole anche di uscire con le amiche e di guardare la tv. La accusava inoltre di essere una “cattiÂva musulmana” e, in caso di diÂsobbedienza, minacciava di riÂportarla in Marocco dove le avrebbe fatto sposare con la forza un uomo di 60 anni.
La ragazza però, nata e cresciuta a Prato assieme ai suoi tre fratelli, voleÂva vivere e vestire come le     comÂpagne di classe. Così, agli inizi del 2008, di fronte all’ennesima sfuriata del padre, che aveva scoperto sul suo telefonino una foto senza il velo islamico, ha deÂciso di scappare di casa e rifugiarÂsi da un’amica.
Oggi la ragazza è maggiorenne ma ha anÂcora paura del padre, che è finito sotto processo con l’accusa di continui maltrattamenti. Secondo il    racÂconto della giovane, il genitore sarebbe andato su tutte le furie e l’avrebbe picchiata pesantemente dopo aver viÂsto una sua foto col viso scoperÂto e i capelli sciolti.
A denunciare Mohamed, il padre “cattivo”, il 12 febbraio del 2008, non è stata la ragazza, fuggita di casa pochi giorni prima, ma Luigi Nespoli, preside del liceo classico Cicognini di Prato, che martedì scorso è stato anche chiamato a testiÂmoniare davanti al giudice AlesÂsandro Moneti. Nespoli aveva già presentato un esposto alla magistratura nel 2007, dopo che la ragazza aveva chiesto di essere esonerata temÂporaneamente dalle lezioni di educazione fisica per problemi respiratori, in quanto il fratellino le aveva dato un forte colpo al petto.
Una giustificazione alla quale il preside del Cicognini non aveva creduto. «Ho immagiÂnato – racconta il preside – che l’alunna potesse essere stata picchiata dal padre e mi sono attivato presso la procura affinché fosse verificaÂta la situazione familiare. Sapevo che il genitore la obbligava ad  anÂdare a pregare in moschea e le proibiva ogni svago, me lo disse lei stessa il primo anno di ginnaÂsio, comunicandomi di non poÂter partecipare alla gita scolastiÂca perché il padre non la autorizÂzava. Così decisi di scrivere alla famiglia per spiegare che la gita faceva parte del programma    diÂdattico».
«Se mi fossi reso conto che la ragazza tollerava il velo imposto dal padre – aggiunge Nespoli – non sarei intervenuto. Ma lei daÂva crescenti segni di disagio. Quando potevo e se rientrava nel mio ruolo educativo, cercavo di intercedere con la famiglia».
La fuga della ragazza ad ogni modo durò poco: per alcune settimane è staÂta ospitata da un’amica, poi, quando Nespoli ha avvertito i serÂvizi sociali, la figlia maltrattata ha raccontato la sua storia, la paura del padre violento e, più di tutti, il terrore di un matriÂmonio imposto come punizione per rieducarla alla religione musulmana. In seguito per lei si sono aperte le porte di una casa protetÂta dell’Istituto Santa Rita, che a Prato ospita circa 120 ragazzi con situazioni di disagio familiaÂre.
Nel frattempo il padre, che a gennaio sarà sentito dal giudiÂce Moneti, avrebbe assicurato alÂla figlia che non la costringerà più a portare il velo se torna a casa. Ma la ragazza ha paura e vuole tenere lontano l’incubo di un maÂtrimonio indesiderato.
