VARESE – Trent’anni dopo l’omicidio della studentessa di Varese Lidia Macchi, massacrata con 29 coltellate nel gennaio 1987, si tornerà a cercare l’arma del delitto nei boschi di Cittiglio, dove fu trovato il cadavere. Il sostituto pg di Milano Carmen Manfredda, che coordina l’inchiesta della Squadra mobile, ha già effettuato un sopralluogo nell’area, mercoledì 5 ottobre. Le ricerche, affidate all’Esercito, inizieranno nei prossimi giorni.
La ricerca del coltello era già scattata recentemente in un parco a Varese: il sospetto degli investigatori era che Stefano Binda, l’uomo arrestato lo scorso 15 gennaio con l’accusa di aver violentato e ucciso Lidia Macchi, potesse aver nascosto il coltello nell’area verde quasi trent’anni fa. Con metal detector e geoscanner sono stati trovati alcuni coltelli, sepolti sotto terra. Ma sulle lame analizzate dai consulenti del sostituto pg, secondo quanto si è appreso, non sarebbero state trovate tracce in grado di ricondurre i reperti al delitto Macchi. Di qui l’idea di tornare sulla scena del crimine: le nuove ricerche avranno luogo in una parte circoscritta della zona boschiva, che verrà posta sotto sequestro.
“Queste ricerche rappresentano un tassello molto importante”, ha spiegato l’avvocato Daniele Pizzi, legale della famiglia Macchi, che a giugno aveva anche presentato un’istanza alla Procura generale chiedendo di condurre nuovi accertamenti nei boschi di Cittiglio. “Da parte della famiglia Macchi c’è grande gratitudine per le energie che la dottoressa Manfredda e la polizia di Stato stanno impiegando per far luce sulla morte di Lidia – ha proseguito – dopo trent’anni di attesa, ora i famigliari vedono finalmente smuoversi qualcosa e, anche se da parte loro non c’è mai stata una ricerca del colpevole a tutti i costi, sono felici di vedere che il caso di Lidia è uscito dal dimenticatoio in cui pareva essere inesorabilmente caduto”.
Intanto i difensori di Binda, gli avvocati Sergio Martelli e Roberto Pasella, hanno ottenuto il nulla osta per accertamenti sulle condizioni fisiche e psichiche dell’uomo, visibilmente dimagrito e provato per la detenzione, sulla base dei quali potrebbero rinnovare la richiesta di scarcerazione.