L’Italia rimarrà senza medici? Più pensionamenti che lauree, il numero chiuso blocca troppi candidati

In un futuro non troppo lontano, tra 11 anni, molti italiani potrebbero rimanere senza medico di famiglia e negli ospedali, chirurghi, infermieri, ortopedici ed anestesisti, scarseggeranno sempre di più, fino a scomparire. La soluzione al problema? Assumere stranieri, come nel Regno Unito, in Germania e in Danimarca.

Come mai però questo calo del personale se ogni anno gli iscritti alla facoltà di Medicina aumenta?

La spiegazione e l’allarme sono affidati alle parole di Amedeo Bianco, presidente della Fnomceo, Federazione nazionale dell’ordine dei medici, chirurghi ed odontoiatri, che spiega: «Nel 2008 sono stati 8364 gli studenti iscritti. Tolto il 25% che, in media, non arriva alla laurea restano in 6.000 quelli che, tra 10-15 anni, entreranno a regime dopo la specializzazione. In quel quinquennio, andranno in pensione in 15.000 mila. Ecco i conti: usciranno in 15 mila, entreranno in 6 mila. Siamo già sotto organico».

Queste le cifre fornite dalla Federazione: nell’anno in corso stanno lavorando 343 mila professionisti tra i 30 e i 70 anni (età media 49,8 anni). Se il tasso d’iscrizione a Medicina rimanesse invariato (la media negli ultimi 10 anni è di circa 6.200 all’anno), nel 2029 i dottori scenderebbero a 280 mila (63.698 in meno), con una età media superiore ai 54 anni.

«Il by pass è superato, l’ulcera si cura con i farmaci, nascono meno figli e servono più geriatri. Cambiamenti strutturali di cui lo sbarramento, così com’è concepito, non tiene conto», dice Gabriele Pellissero, docente di igiene e organizzazione sanitaria all’Università degli Studi di Pavia e direttore scientifico dell’ospedale Policlinico San Donato, a Milano. Aggiunge: «Dove insegno si sono presentati ai test d’ammissione 1.253 ragazzi per 220 posti. L’Università dovrebbe selezionare durante la formazione, non a priori con un quiz».

Sulla formazione pone l’accento anche Gabriele Peperoni, segretario generale della federazione dei medici: «L’Università funziona bene nel trasferire conoscenze, meno nell’insegnamento della pratica. Il servizio sanitario nazionale deve diventare la palestra dei futuri dottori».

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Alessandro Avico