Mafia, il pentito Lo Verso: "Un boss mi fece il nome di Schifani"

PALERMO – Il suo sogno era fare l'autista al ministero della Giustizia, ma perse il concorso perchè Cosa nostra in quell'ambiente non se la sentiva di fare raccomandazioni. E da potenziale impiegato statale si ritrovò uomo d'onore. La sua storia la racconta così. Un po' favola, un po' cronaca. Dal reclutamento quasi casuale nel clan, all'esame che gli avrebbe potuto cambiare la vita e che non ha mai superato. Dall'escalation criminale, alle confidenze dei boss sui rapporti tra la mafia e politici del calibro di Giulio Andreotti, Renato Schifani, Saverio Romano e Marcello Dell'Utri. Dalla dissociazione al pentimento. Perche' per i mafiosi non c'è futuro.

Stefano Lo Verso, ex picciotto di Ficarazzi, paese in provincia di Palermo, al suo debutto da pentito al processo al generale dei carabinieri Mario Mori, l'ufficiale accusato di avere fatto scappare il boss Bernardo Provenzano in nome di un patto stretto tra Cosa nostra e parte delle istituzioni. Un accordo che avrebbe dovuto garantire allo Stato di tirare il fiato dopo le stragi del '92 e al capo dei capi di restare libero.

Lo Verso si pente a febbraio scorso, mentre è sorvegliato speciale. E sceglie di parlare col pm Nino Di Matteo, il magistrato che segue il processo Mori. Alla procura racconta le confidenze di Provenzano su ''patti e coperture investigative''; e le rivelazioni di un altro boss, Nicola Mandalà, il capomafia di Villabate che gli avrebbe parlato dei legami tra il clan e politici come Renato Schifani, oggi presidente del Senato.

Per rassicurarlo su una questione di lavoro il boss avrebbe elencato a Lo Verso le ''coperture'' nazionali e locali di cui godeva: ''Abbiamo un amico e socio di mio padre, Renato Schifani, e abbiamo nelle mani Dell'Utri e per il centro Cuffaro e il paesano di mio padrino Ciccio, Saverio Romano''.

Accuse, quelle rivolte al presidente del Senato, che si aggiungono alle dichiarazioni di altri due pentiti – Gaspare Spatuzza e Francesco Campanella – e che sarebbero finite nel fascicolo aperto alcuni mesi fa dai pm sul senatore. Un'indagine che tuttavia la Procura del capoluogo non ha mai confermato. ''Il nominativo di Schifani non risulta nel registro degli indagati'', replico' il capo dei pm Francesco Messineo dopo la pubblicazione delle indiscrezioni sull'inchiesta.

Schifani annuncia querela, risponde dando mandato ai suoi legali di tutelare la sua onorabilità contro il pentito. Come Marcello Dell'Utri, pure lui tirato in ballo da Lo Verso. Provenzano, descritto dal pentito come un uomo ''pio'' (''pregava tre volte al giorno e voleva l'acqua benedetta'') si sarebbe spinto a parlare anche del senatore del Pdl che – a dire del padrino – sarebbe stato l'interlocutore politico di Cosa nostra dopo la morte di Salvo Lima, l'eurodeputato Dc ucciso nel '92. ''Per questo l'ho fatto votare nel '94'', avrebbe detto il boss al suo vivandiere.

Sempre in vena di confidenze – inclinazione insolita per un uomo d'onore – il capo dei capi avrebbe parlato al pentito della strategia stragista di Cosa nostra. Lui, ci aveva tenuto a precisare il boss, era contrario a uccidere. E aveva ragione perche' ''le stragi furono la rovina''. Ma ''il paesano'' – allusione a Toto' Riina, corleonese come Provenzano – aveva deciso così per fare un favore ad Andreotti che lo aveva garantito per una vita.

''Comunque – avrebbe spiegato Provenzano a Lo Verso – la verita' sugli eccidi la sappiamo solo io, Riina e Andreotti''.

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Alessandro Avico