Mafia: sequestrati beni per 550 milioni al cassiere di Messina Denaro

La Direzione Investigativa Antimafia e il Gico della Guardia di Finanza di Palermo hanno sequestrato il patrimonio aziendale, societario e personale di un imprenditore agrigentino, condannato, con sentenza definitiva, per associazione mafiosa.

Il provvedimento, che ha portato al sequestro di beni per un valore che supera i 550 milioni di euro, è stato adottato dalla sezione misure di prevenzione del tribunale di Agrigento, su proposta del direttore della Dia e della Dda di Palermo.

L’imprenditore agrigentino colpito dal provvedimento di sequestro è Rosario Cascio, 75 anni, di Santa Margherita Belice già condannato, in via definitiva, per associazione mafiosa in seguito al processo scaturito dalle accuse del pentito Angelo Siino.

Cascio, che è residente a Patanna (Trapani), viene considerato dagli inquirenti uno dei “cassieri” del boss latitante Matteo Messina Denaro. Secondo gli investigatori l’uomo, proprietario di diversi impianti per la lavorazione del calcestruzzo, sarebbe a capo di una vera e propria holding mafiosa che era già stata colpita un anno fa da un altro provvedimento di sequestro di beni per un valore complessivo di 400 milioni di euro.

Tra i beni sequestrati dalla Dia e dalla Guardia di finanza all’imprenditore agrigentino Rosario Cascio ci sono 15 tra ditte individuali e società di capitali che operano nel settore edilizio e intestatari di 200 appezzamenti di terreno, che si trovano nelle province di Agrigento e Trapani, 90 fabbricati, 9 stabilimenti industriali tra cui diversi silos e 120 automezzi.

Sotto sequestro sono finiti anche i seguenti beni intestati a Rosario Cascio e alla moglie, anche attraverso prestanomi: 60 appezzamenti di terreno, 80 tra ville, appartamenti, palazzine e magazzini, 50 veicoli e un’imbarcazione da diporto. Complessivamente il patrimonio sequestrato ammonta a 550 milioni di euro.

«L’imprenditore Rosario Cascio – spiega il pm Roberto Scarpinato – può considerarsi l’interfaccia economico di Matteo Messina Denaro. Abbiamo accertato che col boss latitante aveva rapporti attraverso il mafioso Filippo Guttadauro. Il sequestro del patrimonio pertanto è certamente un colpo formidabile all’economia di Cosa nostra».

Scarpinato coordina le indagini sulle infiltrazioni mafiose nell’economia e definisce l’impero imprenditoriale finito sotto sequestro una “straordinaria macchina attraverso la quale la mafia acquisiva consenso”.

Il magistrato ha anche ricordato il ruolo svolto alla fine degli anni ’80 da Cascio nel sistema della spartizione degli appalti: fu infatti condannato in via definitiva nel cosiddetto “processo del tavolino” che mise in luce il sistema dell’illecita aggiudicazione dei lavori ideato da Cosa nostra. Alla fine del 2008 venne nuovamente arrestato, dopo avere scontato la prima pena, “perché – spiega Scarpinato – aveva riprodotto in scala lo stesso sistema nelle province di Agrigento e Trapani”.

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