BRINDISI – Quella domanda, quel sospetto del papà di Melissa Bassi, non nasce da solo. “Procuratore Grasso, non è che se lo trovate lo fate uscire subito?”. La paura più grande è stata infatti alimentata dalla cronaca, da un ritornello che accompagna, a volte, fatti come quello di Brindisi: “Si sa come vanno queste cose in Italia”. Un’indagine ostacolata dalla pressione mediatica, l’assassino magari acciuffato in tempi ragionevoli, la gogna del giorno dopo. Poi, nei giorni e mesi successivi, quelli dell’arresto, delle indagini e del processo, la paura che possa “tornare fuori”. Magari perché un giudice clemente ritiene che non ci siano i presupposti per tenerlo in carcere fino al processo. Perché magari l’assassino, questo assassino, non sta bene di testa. Perché, pentito o terrorizzato dalle sue stesse azioni, potrebbe non essere ritenuto capace di reiterare il delitto. Perché non ha modo di manomettere le prove contro di lui o perché neanche si sogna di scappare all’estero. Insomma, se dovessero cadere tutti i motivi che, secondo la legge italiana, tengono in carcere una persona in attesa di processo, si chiede il papà di Melissa, “non è che lo fate uscire subito?”.
Un ritornello che certo non è nuovo. I casi sono molto diversi, però nella cronaca recente un certo sgomento lo ha suscitato quella sentenza della Cassazione, applicata in qualche caso, che prevede i soli domiciliari per gli stupratori di gruppo in attesa di processo. Sul caso di Brindisi la pressione dell’opinione pubblica, rinforzata dal consueto dibattito attivo h24 in tv, è talmente forte che difficilmente un giudice proverà la via della clemenza. Però è proprio la cronaca italiana, proprio i tanti casi di “così succede in Italia”, che spingono il papà di Melissa ad arrovellarsi con un dubbio ragionevolmente fondato. A chiedersi: “ma non è che lo fate uscire subito?”.