BERGAMO – Centinaia di persone chiamate per il test del Dna, per compararlo con quello trovato su Yara Gambirasio. Sono le centinaia di persone che il 26 novembre erano state a Brembate o nei dintorni, che quindi potevano avere a che fare con la sparizione e l’uccisione della ragazzina.
Ma tra queste non ci fu Massimo Bossetti, ovvero l’uomo accusato dell’omicidio. Perché? Secondo il Corriere della Sera, all’origine di tutto c’è una certa confusione sui dati delle celle telefoniche, dovuta al doppio lavoro di carabinieri e polizia.
Un retroscena sulle indagini c’è. Iniziarono i carabinieri del nucleo investigativo di Bergamo a concentrarsi sulle celle telefoniche, acquisendo dalle diverse compagnie di comunicazione una serie di «supporti hardware», quindi cd o dvd, contenenti migliaia di file compressi, dai quali estrapolare milioni di dati. Quali? Tutti gli elenchi degli utenti che il 26 novembre, o nei giorni precedenti e successivi, avevano agganciato le celle della zona di Brembate Sopra e dell’Isola bergamasca.
Milioni di dati estrapolati su due server installati ad hoc in procura, per poi iniziare un lavoro da perderci la vista, tra numeri di telefono, chiamate di un minuto o di un’ora, sms. Non tutto, però, è filato liscio. Dopo i carabinieri del nucleo investigativo all’inchiesta aveva iniziato a lavorare anche la squadra mobile di polizia. E anche gli uomini della questura, utilizzando una propria chiave di accesso ai server della procura, avevano estrapolato gli stessi lunghissimi elenchi dei carabinieri. Un doppione forse dovuto a una rivalità tra inquirenti, che sicuramente non era mancata nei primi mesi dell’inchiesta. Ma a lungo, anche dopo il ritrovamento di Yara, carabinieri e polizia hanno lavorato su più livelli, non sempre comunicanti.
Le celle telefoniche sono state forse l’elemento d’indagine che, dopo il Dna, ha richiesto più tempo: ma la loro utilità non regge di certo il confronto con quella dei test genetici. Il dato oggettivo è che Massimo Bossetti era anche nell’elenco finale di circa 120 mila contatti telefonici da mettere sotto la lente: c’era anche lì dentro la sua telefonata al cognato alle 17,45 del 26 novembre. Ma la chiamata per il Dna – basata sulle celle – per lui non è mai arrivata.