L’AQUILA – Melania lo umiliava, e soprattutto voleva che lui troncasse la relazione con l’amante: per questo Salvatore Parolisi l’avrebbe uccisa. Lo sostiene il tribunale del Riesame dell’Aquila, confermando l’ordinanza di custodia cautelare in carcere per il caporalmaggiore accusato di aver ucciso la moglie con 32 coltellate nel bosco di Ripe di Civitella del Tronto.
Secondo i giudici dell’Aquila, scrive Repubblica, decisivo per incastrare Parolisi è stato il dna trovato sulla bocca di Melania Rea. “Il contatto da cui deriva tale presenza, ha scritto il giudice Giuseppe Romando Gargarella, secondo quanto scrive Repubblica, deve essere necessariamente fatto risalire a pochissimo prima della morte, poiché altrimenti atti quali il mangiare, il bere o anche il deglutire saliva avrebbero potuto far sparire quelle tacce”. Per questo Melania sarebbe morta in quel bosco durante un momento di “estrema confidenza” e “intimità” con il suo assassino.
Inoltre la donna non aveva un amante, secondo quanto hanno appurato le indagini. La stessa modalità del delitto – le 32 coltellate – fa riferimento a un soggetto “non estraneo” a Melania. “L’omicida la colpisce numerosissime volte, e ciò è tipico di chi è stato legato da un legame di amore-odio con la vittima, e agisce con dolo d’impeto, non badando al risultato utile con pochi colpi mirati. Dopodiché la Rea viene lasciata agonizzante, senza che venga verificato se sia morta o meno, e senza infliggerle il colpo di grazia. Un terzo estraneo che avesse avuto il precipuo compito di eliminarla (ad esempio per evitare che raccontasse gli inconfessabili segreti della caserma) non si sarebbe così comportato, ma avrebbe verificato di aver adempiuto al suo compito”.