Meredith Kercher, la lettera di Rudy Guede: "Chi non mi crede può leggere gli atti" (foto Ansa)
“Invito tutti a non credere alle mie parole ma di leggere gli atti prima di parlarne e che io metto a disposizione di chiunque fosse ancora interessato”: a chiederlo è Rudy Guede che torna sulle vicende legate all’omicidio di Meredith Kercher.
“Non era mia intenzione riaprire ferite mai chiuse e rinnovare il dolore dei protagonisti di questa storia, primi tra tutti i familiari della ragazza inglese” sottolinea tra l’altro il giovane dopo le polemiche degli ultimi giorni.
Guede ora vive e lavora a Viterbo. In una lettera aperta diffusa tramite l’agenzia Ansa , ricorda che “in questi giorni è ripartita l’attenzione mediatica sulla tragedia e di questo rinnovato interesse mi assumo personalmente la responsabilità”.
“In effetti – scrive Guede – sono stato io che nell’accettare di essere intervistato e credendo ingenuamente che si volesse parlare del libro recentemente pubblicato ho risposto a domande che riproponevano i fatti di 15 anni fa. Detto questo rimango perplesso nel leggere dichiarazioni che, come allora del resto, non hanno rispondenza nella realtà”.
“Apprendo ad esempio – sostiene ancora Guede – che dovrei essere espulso in quanto privo di permesso di soggiorno e che il questore di Viterbo stia commettendo un reato nel non emettere un decreto di espulsione: ebbene si tranquillizzi chi lo sostiene in quanto sono in possesso di un regolare permesso di soggiorno e senza il quale tra l’altro non potrei lavorare dove lavoro. Apprendo che secondo alcuni sarei stato condannato per omicidio volontario e non ‘in concorso’ con altri (noti o ignoti che siano) ma le sentenze di primo e secondo grado affermano tale circostanza e la Cassazione conferma le precedenti; tale assunto è stato ripreso anche dai giudici che hanno dichiarato inammissibile la mia istanza di revisione e su questo non c’è stata contestazione alcuna neanche da parte loro. La stessa formula è stata sempre confermata dal magistrato dell’Ufficio di sorveglianza nelle relazioni che riguardano il mio comportamento durante la detenzione”.