
È una delle prime cinque vie commerciali d’Europa e non c’è una pista ciclabile. Si trova a Milano, si chiama corso Buenos Aires: il Comune, impegnato nella ripavimentazione dell’arteria simbolo della città, si è dimenticato di costruire una via per i ciclisti.
Dorse è una dimenticanza, forse è una prova di buon senso. A Milano, città di pianura per eccellenza, i ciclisti prosperano e spesso si trasformano in un pericolo pubblico. Infatti per sperimentarlo basta camminare nelle strade del centro, dove sfrecciano uomini e donne eleganti e ben vestiti, chiaramente appartenenti ai ceti medio alti, che con l’arroganza di chi si sente sopra i comuni mortali, vanno contromano, pedalano sui marciapiedi, fin sotto i portici, spesso parlando al telefonino.
Se protesti guardano avanti imperterriti, come se tu fossi trasparente.
La questione è un argomento ben noto agli amministratori milanesi, «se è fattibile, si farà», aveva detto il vicesindaco Riccardo De Corato lo scorso giugno. Primo segnale interlocutorio giunto da Palazzo Marino che ad oggi, però, non ha avuto alcun seguito nonostante numerose sollecitazioni.
Se la politica per il momento non dà cenni, a mobilitarsi sono stati gli stessi cittadini. Guidati da Ciclobby, l’associazione ciclo ambientalista aderente alla Federazione italiana amici della bicicletta, i milanesi hanno raccolto 3.000 firme a sostegno della petizione per dare strada alla bici in corso Buenos Aires e le hanno simbolicamente consegnate al Comune in una manifestazione dove hanno partecipato centinaia di amici delle due ruote.
Il Presidente di Ciclobby Eugenio Galli rimarca l’assoluta disattenzione dell’amministrazione meneghina al tema delle due ruote: «Nella riqualificazione che si sta completando manca qualsiasi cenno di attenzione alle esigenze dei ciclisti che non hanno neppure un proprio spazio di sicurezza definito da una corsia ciclabile». E ha poi aggiunto «inoltre le aree di sosta sono segnalate con semplici strisce sull’asfalto e non hanno sostegni fissi cui poter legare la bici e non vi è cenno di sviluppo delle nuove stazioni del Bike Sharing. Intanto i lavori proseguono e l’arteria rischia di essere, alla fine dei lavori, una strada nemica della bici, un’occasione mancata per il rilancio della mobilità sostenibile, a causa di una mancanza di visione da parte dell’amministrazione».
A proposito di promesse non mantenute, la giunta Moratti nel 2009 firmò la Carta di Bruxelles per la diffusione della mobilità ciclistica. Ebbene, sul Piano di Governo del Territorio (PGT) del Comune di Milano, adottato lo scorso settembre, non ce n’è traccia. Come si legge nelle osservazioni al Pgt sottoscritte da Ciclobby, FAI, Genitori Antismog, Italia Nostra e WWF: «Nonostante la realizzazione del Bike Sharing, quel salto di quota avvenuto in tante città italiane ed europee dove gli interventi, anche strutturali, sono stati decisi ed efficaci. Il “Piano della Ciclabilità” del Comune di Milano rimane come documento di mero riferimento, in quanto non è mai stato approvato dal Consiglio Comunale». La mezza buona notizia è che intanto Manfredi Palmeri, presidente del Consiglio comunale di Milano, si è impegnato a calendarizzare la discussione in aula della mozione presentata oramai qualche mese fa, a firma di consiglieri di maggioranza e di minoranza, e che in sostanza ricalca la petizione di Ciclobby.
Milano è la città dove ci si muove in auto 5 volte più che a piedi, oltre il doppio di Madrid e Londra, e dove meno della metà degli spostamenti casa–lavoro si fa a piedi, in bici o con i mezzi pubblici (dati IEFE – Università Bocconi), ma è anche la città dove il recente referendum per l’ambiente e la mobilità sostenibile ha raccolto 125mila firme in pochi mesi. E non è l’unico segnale, nelle primarie per la scelta del candidato sindaco del centro sinistra appena concluse, tutti e quattro i candidati hanno cavalcato la carta della mobilità sostenibile. Un’agenda per il futuro sindaco?
