Il proprietario della clinica Santa Rita “faceva il padrone delle ferriere” e lo scopo della clinica, definita una “impresa”, era “produrre un guadagno ed era irrilevante curare la gente”. E’ uno dei passaggi della requisitoria iniziata oggi a Milano del pm Tiziana Siciliano che insieme alla collega Grazia Pradella sostengono l’accusa al processo con al centro le operazioni inutili effettuate per ‘gonfiare in rimborsi’ alla clinica Santa Rita di Milano.
Nell’aula bunker vicino il carcere di San Vittore il pm Siciliano questa mattina dopo un lungo excursus legislativo per inquadrare le norme che regolano il servizio sanitario nazionale, ha cominciato ad entrare nel merito della vicenda per cui sono alla sbarra nove medici tra cui l’ex primario della chirurgia toracica, Pier Paolo Brega Massone, e i suoi due aiuti, Fabio Presicci e Marco Pansera, arrestati nel giugno del 2008 insieme ad altri otto.
I tre medici insieme a quasi tutti gli imputati (ora in libertà) sono presenti in aula. Le accuse a vario titolo sono truffa ai danni del Ssn, falso e lesioni gravi e gravissime.
Il pubblico ministero nell’introdurre l’attività di quella che fu definita la “clinica degli orrori” ha sottolineato che “il quadro che le indagini hanno evidenziato è totalmente difforme da ogni nostra immaginazione ed è il brodo cultura dei comportamenti illeciti” che verranno affrontati nella requisitoria che andrà avanti per altre due udienze e cioé il 20 il 27 aprile.
Oltre a sottolineare la grande rilevanza delle intercettazioni, il pm Siciliano è partito tracciando il quadro di quel che accadeva in clinica dove Francesco Pipitone, notaio e proprietario della struttura sanitaria, (ha patteggiato quattro anni e mezzo di carcere) era il “regista” di tutto quel che accadeva e “si circondava solo di fedelissimi”.
“L’unica volontà che contava – ha proseguito – era quella del notaio Pipitone e in questa casa di cura la priorità era la capacità produttiva”. Il magistrato usando il “colorito eloquio” di una conversazione intercettata nella quale parla la dottoressa Arabella Galasso, nei criteri di selezione dei dirigenti delle unità operative si privilegiavano i “marcioni” e i “banditi”.
Inoltre, sempre citando l’intercettazione della dottoressa, valeva il principio che “se si ampliava il parco macchine andava tutto bene” per dire che i medici avevano il compito di “portare i pazienti”, considerati in sostanza come fonte di guadagno.
Secondo la pubblica accusa poiché gli stipendi erano ‘ancorati’ ai drg (rimborsi per prestazioni, ndr), e dunque sulla ‘produzione’, accadeva che, per dirla con le parole di Brega Massone, “il chirurgo giovane può diventare un po’ più aggressivo”, frase di cui il pm ha sottolineato tutti “i drammatici risvolti che ha avuto” e che sono stati messi in luce dalle indagini: pazienti operati anche quando non era necessario e che hanno subito inutilmente parecchie ‘sofferenze’ sia fisiche che psicologiche. Brega Massone, durante una breve pausa del processo, avvicinato dai giornalisti ha ribadito di avere sempre “agito in buona fede”.