Moby Prince, un disastro nel mistero: dall'incendio 30 anni fa si salvò solo Alessio Bertrand FOTO ANSA
Era una limpida sera di primavera quella di 30 anni fa, il 10 aprile 1991, quando nella rada livornese, alle 22.25, il traghetto Moby Prince della Navarma entrò in collisione con l’Agip Abruzzo. Una petroliera della Snam, a 2,7 miglia dalla costa. Fu l’inferno: morirono in 140 tra passeggeri e equipaggio del Moby Prince. Si salvò solo Alessio Bertrand, mozzo del traghetto che partito alle 22 era diretto a Olbia. Tutti salvi sulla nave Agip. E’ stata la più grande tragedia della marineria italiana, finora senza colpevoli e con tanti misteri.
La prua del Moby Prince penetrò la cisterna numero 7 della petroliera. Il greggio si riversò sul traghetto che si trasformò in un’immensa torcia con l’innesco delle fiamme, provocato forse dall’attrito delle lamiere. Varie le ipotesi sul perché accadde: nebbia, eccesso di velocità, un’esplosione, un guasto alle apparecchiature di bordo. Anche la distrazione. Si pensò che chi avrebbe dovuto vigilare stava guardando Juventus-Barcellona in tv, semifinale di Coppa Uefa.
Di certo i soccorsi arrivarono in ritardo: il traghetto fu individuato solo alle 23.35. Una ‘Ustica del mare’ per i familiari delle vittime che dopo decenni di inchieste, processi e verità distorte e demolite continuano a chiedere che il Parlamento indaghi ancora. Già ha lavorato una commissione parlamentare le cui conclusioni, arrivate nel 2018, hanno portato anche alla riapertura delle indagini della procura di Livorno. I familiari chiedono ora una bicamerale che possa proseguire oltre la scadenza della legislatura, “fino al raggiungimento del suo scopo”.
La vorrebbero Luchino e Angelo Chessa, figli di Ugo, il comandante del Moby Prince morto in plancia, che guidano l’associazione 10 Aprile-Familiari vittime Moby Prince Onlus. D’accordo con la loro richiesta Silvio Lai, che da senatore ha presieduto la prima commissione la cui relazione conclusiva ha escluso che la tragedia sia riconducibile “alla presenza della nebbia e alla condotta colposa avuta dal comando del traghetto” e ha ritenuto che l’allora inchiesta giudiziaria fu “carente e condizionata da diversi fattori esterni”, che la petroliera si trovava “in zona di divieto di ancoraggio’ e che il Moby ebbe un’alterazione nella rotta di navigazione.
Quanto ai soccorsi, alcuni passeggeri – secondo la commissione – potevano essere salvati ma durante le ore cruciali “la Capitaneria di porto apparve del tutto incapace di coordinare un’azione di soccorso”. Ora la nuova commissione potrebbe servire per ricostruire il contesto di quella notte. Se quella precedente ebbe il tempo di sbobinare solo le conversazioni registrate sul canale di soccorso per Lai “sarebbe interessante ascoltare anche le bobine degli altri canali commerciali che registrarono conversazioni, che possono risultare utili a cercare nuovi spunti d’indagine, tra i natanti presenti in rada al momento dell’incidente”.