In paese lo chiamano «il mostro», lo hanno già condannato senza processo in molti a Civita Castellana, in provincia di Viterbo. Francesco Vincenzi però si difende, ribadisce che non è lui l’assassino della sua compagna, Marcella Rizzello. Agli inquirenti, che lo hanno interrogato per ben due volte, ha fornito un alibi che finora non lascia dubbi sulla sua estraneità al feroce delitto.
Lui l’ha trovata in casa riversa in una pozza di sangue, già priva di vita con i segni di cinque coltellate al collo e all’addome, mercoledì scorso all’ora di pranzo. Era appena tornato da lavoro e accanto a quel corpo martoriato c’era anche la figlia Giada, avuta 14 mesi fa. L’unica cosa che poteva fare era piangere a dirotto. Lei è l’unica a conoscere il volto dell’assassino che le ha strappato la madre.
La gente del posto non offre troppa solidarietà verso Francesco: “La Polizia pensa che a ucciderla sia stato qualcuno che Marcella conosceva e anche se è orribile speriamo che sia così”. Che a compiere quel delitto “imperfetto”, pieno di tracce di sangue e impronte, possa essere stato addirittura lui a questo punto può essere addirittura più rassicurante. La prospettiva che fra le strade di Civita si aggiri a piede libero un assassino o un potenziale serial killer spaventa ancora di più dell’orrore di un omicidio consumato fra le mura di casa.
Subito dopo la scoperta del cadavere fino ai funerali e ancora nei giorni a seguire Francesco si è chiuso in casa, blindato dall’affetto della famiglia e dei pochi amici fidati che non dubitano di lui. Ormai non si fa più vedere in paese, non va a lavorare al bar che gestisce in centro. Lo hanno già interrogato due volte, il suo alibi è inattaccabile al momento. Nel frangente di tempo in cui è stata uccisa la compagna trentenne – tra le 12 e le 13,30- era impegnato, era fuori casa: a dimostrazione ha portato scontrini, testimonianze, i racconti degli amici. «Non sono stato io, non sono un mostro», continua a ripetere agli investigatori.
Era geloso di Marcella, chi lo conosce e chi lo vedeva semplicemente di sfuggita ne sembra praticamente certo. Litigavano, forse, ma Francesco non vuole rassegnarsi ad essere etichettato come un omicida. Nessuno però quel giorno ha visto o sentito nulla, neanche il cane della coppia ha abbaiato. Così i sospetti si sono concentrati su qualcuno di cui la donna si fidava e quell’uomo di trentasei anni con le spalle larghe da rugbista appare l’indiziato più plausibile, almeno per chi spettegola in paese.
I carabinieri del Ris hanno raccolto molte tracce che potrebbero dare una risposta: chi ha ammazzato Marcella ha lasciato sangue, impronte e probabilmente anche capelli sul suo percorso. Adesso sono attesi i riscontri delle analisi e l’individuazione del Dna dell’assassino che potrebbe essere isolato anche da quei lembi di pelle strappati dalla donna nella furia di difendersi dalla persona che le ha tolto la vita. I graffi sul volto e sulle braccia di Marcella parlano di un «mostro» che porta ancora addosso i segni di quella lite.
