VARESE – Quasi trent’anni dopo si apre il processo sull’omicidio di Lidia Macchi, la studentessa di Varese vicina a Comunione e Liberazione massacrata con 29 coltellate in una fredda notte di gennaio del 1987. Stefano Binda, l’ex compagno di liceo della giovane arrestato a gennaio 2016, è stato rinviato a giudizio dal gup di Varese Anna Azzena.
“Mi auguro solo che la verità venga a galla, dopo tutti questi anni sono distrutta”, ha detto al termine dell’udienza preliminare Paola Bettoni, la madre di Lidia Macchi, presente in aula assieme alla sorella della vittima. La famiglia Macchi, assistita dall’avvocato Daniele Pizzi, si è costituita parte civile.
Binda, che si è sempre proclamato innocente, è accusato di omicidio pluriaggravato dagli abietti e futili motivi e dalla crudeltà perché, dopo averla minacciata per costringerla a un rapporto sessuale, ha colpito a morte Lidia, “considerata causa di un rapporto sessuale vissuto come tradimento del proprio ossessivo e delirante credo religioso”, si legge nel capo di imputazione. Tradimento, scrivono gli inquirenti “da purificarsi con la morte”.
Il cadavere fu trovato in una località boschiva a Cittiglio, all’epoca frequentata da tossicodipendenti, riverso a terra vicino all’auto della ragazza. Binda, secondo le accuse, avrebbe anche scritto un componimento in versi, “In morte di un’amica”, inviato alla famiglia Macchi il giorno dei funerali della ventenne, con particolari che secondo le accuse solo l’assassino poteva conoscere. Il componimento è stato tra gli elementi principali che hanno portato al suo arresto nell’ambito delle nuove indagini avviate dal sostituto pg di Milano Carmen Manfredda.
I difensori di Binda, presente in aula, nel corso dell’udienza preliminare hanno depositato però i risultati di un esame calligrafico secondo il quale la scrittura dell’imputato “non è compatibile” con quella dell’autore dei versi anonimi. Dalla consulenza affidata alla grafologa Cinzia Altieri emerge inoltre che Binda non sarebbe l’autore della frase “Stefano è un barbaro assassino“, scritta su un foglio sequestrato nel corso delle indagini nella villetta a Brebbia, in provincia di Varese, dove l’uomo viveva assieme alla madre e alla sorella. Risultati quindi opposti rispetto a quelli emersi dagli esami disposti dagli inquirenti.
La consulenza è stata acquisita dal gup, che si è riservata su una nuova richiesta di scarcerazione presentata dai difensori, gli avvocati Sergio Martelli e Patrizia Esposito. “Andremo davanti alla Corte d’Assise – ha spiegato l’avvocato Esposito – e speriamo che i giudici tengano conto degli esiti degli esami sulla calligrafia”.
Intanto l’udienza preliminare ha messo un primo punto fermo, mentre sono ancora in corso importanti accertamenti, come quelli sulla salma riesumata della ragazza. Il processo si aprirà il prossimo 12 aprile. “Chiedo solo che emerga la verità, ci spero fino all’ultimo – ha spiegato la madre di Lidia – se è stato lui spero che prima o poi confessi”.