ROMA – La liberalizzazione degli orari dei negozi nelle citta' d'arte, cosi' com'e' stata definita nella manovra, non s'ha da fare. I commercianti promettono battaglia e il ministro dello Sviluppo economico, Paolo Romani, ammette che cosi' non va e punta a introdurre modifiche nel passaggio parlamentare.
Teatro del confronto e' un'animata assemblea della Confesercenti, nel corso della quale il ministro e' stato prima contestato in piu' punti della sua relazione, e infine applaudito proprio per l'impegno a rivedere la misura tanto osteggiata dai negozianti.
''Il libero orario delle aperture – avverte il presidente di Confesercenti Marco Venturi – finisce col favorire solo le grandi strutture commerciali. Questa volta non faremo finta di nulla e ci contrapporremo a questa decisione con determinazione e con forza''.
Secondo Venturi, infatti, ''non e' cosi' che si crea ricchezza e lavoro, anzi questo percorso brucera' occupazione, autonoma e dipendente, e favorira' un ulteriore impoverimento del tessuto urbano, con inevitabili conseguenze sul turismo''. D'accordo anche il numero uno di Confcommercio, Carlo Sangalli, che parla di decisione ''sbagliata nel metodo e inaccettabile'', che ''non va nella direzione del federalismo fiscale''.
Il fronte del commercio, dunque, e' unito e il ministro Romani tende la mano, promettendo un tavolo con le associazioni: ''Il metodo – ammette – e' stato sbagliato, perche' non e' possibile imporre la modifica dall'alto'', quindi nella conversione in Parlamento ''probabilmente una modifica si puo' fare: ne parliamo insieme e vediamo se possiamo trovare una soluzione''.
Quello degli orari dei negozi, pero', e' solo il problema piu' urgente messo sul tavolo: la lista delle cose da fare, per Confesercenti, e' molto piu' lunga. A partire dalla necessita', ribadita per l'ennesima volta, di una riduzione della pressione fiscale (quella reale sulle imprese ''e' al 53%'') sotto il 40% entro tre anni; di una riforma del fisco, ormai diventato ''lunare'', con una spesa di 18 miliardi solo in adempimenti; e di un corretto utilizzo del federalismo, che solo di addizionali Irpef regionali potrebbe portare un stangata di 5-6 miliardi.
Forti sono anche i richiami sulla criminalita', con il milione di imprese costretto a confrontarsi con le mafie, e contro la politica del non fare: ''Basta con le promesse elettorali'', perche' programmi e impegni ''sono credibili soltanto se nella legislatura precedente chi promette ha mantenuto quelli gia' presi''.
