“Ore17,22: 10 anni fa quando uccisero Francesco Fortugno…”

Maria Grazia Laganà, vedova di Francesco Fortugno. nel decimo anniverario della uccsione del marito, ricorda quel giorno.

ROMA – Questo articolo viene pubblicato alle 17 e 22 del 16 ottobre, perché esattamente nello stesso istante 10 anni fa fu ucciso Francesco Fortugno, il vice presidente della Regione Calabria ucciso mentre si svolgevano le primarie.

Ricordare il momento esatto significa anche fare in modo che il ricordo divenga rievocazione: di una storia personale, quella di una famiglia e delle tante persone cui era legato, di una storia politica, evidentemente “scomoda”. Un’azione lunga fatta di passione e determinazione per “smuovere” la Calabria, la sua terra. Un gesto di sfida al “para potere consolidato”, perché questo è la “mafia” quando dai traffici illeciti penetra nella società diffusa.

Anche se qui la scena è la Calabria, sempre di omicidio mafioso si tratta, anche e soprattutto perché Fortugno è stato ucciso durante il suo incarico di vicepresidente del Consiglio Regionale. Per di più in un giorno particolare: il 16 ottobre 2005 a Locri, dove fu vicesindaco per due anni dal 1999 al 2001, è il giorno delle primarie dell’Unione voluta da Romano Prodi.

Un killer lo fredda con 5 colpi di pistola a volto coperto all’interno del seggio. Il gesto è inequivocabile e racchiude la motivazione politica. Per questo nei giorni scorsi l’ex presidente del Consiglio è volato in Calabria per ricordare il politico, il valore di una storia umana e di una storia di Stato. Un omicidio politico, dunque, un’esecuzione brutale che mal si concilia con l’attività di Fortugno, ma che racchiude tutta la commozione dell’anniversario.

A dieci anni dalla scomparsa, nel giorno dell’anniversario, Maria Grazia Laganà, vedova di Francesco Fortugno, racconta di quel giorno. Il primo ricordo che le torna alla mente è:

“Ho ricevuto la notizia da mio padre. Non potrò mai dimenticare il ricordo del suo bussare, forte, inusuale per lui alla porta. Mi disse che gli avevano sparato. Poi il ricordo del corpo di mio marito al pronto soccorso di Locri, proprio nel posto in cui lui come medico aveva salvato tante vite e dove per lui non ci fu nulla da fare. Li promisi a me stessa e a lui che avrei fatto quanto possibile per rendergli giustizia.

La presenza dell’allora Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi fu un segnale inequivocabile per la Calabria, cosa è cambiato ad oggi e in che modo la vicenda politica di suo marito è ancora attuale?

“Sicuramente fu un gesto importante da parte dell’allora capo dello stato, del candidato premier Romano Prodi, come la presenza di tante personalità politiche e istituzionali fino a tutta la commissione antimafia. Un segno di attenzione, di testimonianza e di vicinanza a Locri. Ma anche un impulso al risveglio, alla presa di coscienza che partì dai giovani in piazza, che seppero coinvolgere anche gli adulti. Credo che da allora la Calabria sia più motivata: le forze dell’ordine, la magistratura protagonista di inchieste. E’ stato un bagno nella legalità, nonostante la carenza cronica di uomini e mezzi per le forze dell’ordine, che denuncio da sempre. La vicenda politica di mio marito è attuale perché tutti i giorni si vedono ancora i segni della corruzione e delle infiltrazioni mafiose in politica. Il segno che c’è ancora molto da fare e che per questo serve ricordare”.

Lunedì prossimo avverrà la premiazione del concorso patrocinato dal MIUR che vede coinvolti i ragazzi delle scuole per realizzare UNO SCATTO PER LA LEGALITÀ. Non può non tornare in mente dieci anni fa quando migliaia di studenti scesero in piazza a manifestare contro l’uccisione di suo marito e contro la ‘Ndrangheta. Che cosa si sente di dire e cosa si aspetta da loro?

“Il colloquio con i giovani è stato sempre un tributo a Franco, perché lui amava farlo. Una delle sue ultime apparizione pubbliche è stata ad un’assemblea dei giovani del partito e ricordo il suo messaggio sul futuro che passava per l’arma del voto, che è potere si scelta e potere di cambiare le cose. Noi adulti abbiamo imparato da loro in quei giorni in cui il movimento spontaneo dei più giovani, in quel lunedì mattina che non dimenticherò mai, perché compresero prima degli adulti che non era il momento di abbassare la tesa. Il mio dispiacere più grande è vedere che molti di quei ragazzi che ho conosciuto non sono tornati in Calabria nella loro terra perché non potevano, perché non offriva loro quanto altri posti dove ora vivono”.

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Marco Benedetto