ROMA – “Non esiste un interlocutore affidabile in moschea”. Riccardo Pacifici, presidente della comunità ebraica di Roma, definisce difficile il dialogo tra la Sinagoga e la Moschea, imputando a quest’ultima le colpe. L’ultimo tentativo di dialogo, ricorda Maria Lombardi sul Messaggero, risale al 2008, quando l’incontro tra l’imam al Ghobashy, il segretario generale del centro culturale islamico d’Italia Abdallah Redouane e il rabbino capo Riccardo Di Segni fu annullato all’improvviso.
La Lombardi scrive sul Messaggero:
“Un forfait che ancora brucia, «non fummo avvertiti, venne soltanto diramato un comunicato – aggiunge Pacifici – nessuna spiegazione fu data. Se il segretario Redouane era sotto ricatto ce lo dica, se è stata una sua scelta ce la spieghi». La visita del rabbino Di Segni in moschea – era il 13 marzo del 2006 – è così rimasta una cortesia non ricambiata, un dialogo interrotto. «Ci chiesero prima dell’incontro se nei nostri discorsi in Sinagoga si poteva evitare di pronunciare la parola Israele. Finché l’interlocutore resterà Redouane il dialogo non sarà possibile»”.
Il timore del rabbino Di Segni ora è che
“«Roma diventi come Parigi. Ci sono persone con forti identità religiose non cattoliche che non dialogano con la città, che vivono in territori chiusi alla comunicazione sociale. Bisogna evitare – aggiunge – che si ripetano anche qui le tensioni delle banlieu francesi»”.
Di Segni e Pacifici hanno invitato Ignazio Marino, sindaco di Roma, al Tempio Maggiore e proprio durante l’incontro, mentre discutevano dell’intenzione di collaborare all’accoglienza dei superstiti del naufragio di Lampedusa, scrive Maria Lombardi, hanno nuovamente parlato della visita in Moschea non ricambiata.