MILANO – Non ha avuto visioni e non compiuto miracoli. Padre Clemente Vismara è il primo missionario dei giorni nostri fatto beato senza essere martire o vescovo o fondatore di un ordine religioso. Il «Patriarca della Birmania» nativo di Agrate Brianza è stato semplicemente un sacerdote straordinario nell’ordinario.
Una cattedrale a cielo aperto. Domenica 26 giugno Piazza Duomo a Milano era uno spettacolo a cielo aperto: 10mila fedeli hanno assistito alla beatificazione di Padre Vismara, assieme a quella di altri due religiosi, don Serafino Morazzone, parroco di Chiuso e confessore di Alessandro Manzoni, e suor Enrichetta Alfieri conosciuta come l’angelo di San Vittore. In uno dei suoi ultimi impegni prima di lasciare la curia milanese, il cardinale Dionigi Tettamanzi ha proclamato beato il missionario lombardo di nascita ma birmano d’adozione, che scriveva: «La vita è fatta per esplodere, per andare più lontano. La vita è bella quando la si dona».
Perché beato? Molti, anche all’interno della sua confraternita, si sono chiesti il perché della scelta di fare beato Padre Vismara, un missionario sotto molti aspetti “normale”. Ebbene, secondo la Congregazione dei Santi, il sacerdote ha vissuto la sua vocazione incarnando «in modo eroico» le virtù tradizionali del missionario. E nella formula di beatificazione letta dal cardinal Angelo Amato, prefetto della Congregazione per la causa dei santi, padre Clemente viene definito «instancabile annunciatore e testimone del Signore Gesù in terra d’Oriente e difensore degli ultimi tra i poveri e i malati».
Una missione in Myanmar lunga una vita. Tra gli ultimi e i poveri, padre Vismara ci ha vissuto davvero. Padre Clemente (1897-1988), eroe della prima guerra, diventa sacerdote e missionario del Pime (Pontificio Istituto Missioni Estere) nel 1923 e subito parte per l’allora Birmania, dov’è destinato a un territorio quasi inesplorato e dove condurrà una vita poverissima. In quei luoghi inospitali trascorrerà 65 anni della sua vita fino alla morte. Scriveva: «È peggio che quando ero in trincea sull’Adamello e il Monte Maio, ma questa guerra l’ho voluta io e debbo combatterla fino in fondo con l’aiuto di Dio». Qui gira per i villaggi di tribali a cavallo, si adatta al clima, ai pericoli, al cibo, porta medicine e soprattutto si dedica agli orfani, tanto che ancor oggi è invocato come “protettore dei bambini”. E al compiere dei suoi sessant’anni di missione, la Conferenza episcopale birmana lo proclamerà «Patriarca della Birmania».
Il Comitato per le beatificazioni ha proposto che tutte le offerte raccolte durante la cerimonia solenne in piazza Duomo, siano utilizzate per ricostruire l’orfanotrofio, la chiesa, e la casa di Monglin, prima missione di padre Vismara in terra birmana. Tutte che sono state distrutte dal terremoto che ha colpito il Myanmar lo scorso 24 marzo.