MACERATA – Qualcosa è successo all’interno della comunità dove Pamela Mastropietro era ricoverata. Un episodio che la faceva vomitare da giorni, la faceva stare male tanto da costringerla a fuggire. Ne sono convinti Alessandra Verni e Stefano Mastropietro, i genitori della 18enne uccisa a Macerata e il cui corpo è stato trovato sezionato all’interno in due trolley il 30 gennaio scorso.
Per la prima volta i genitori attaccano la comunità di recupero di Corridonia dove la giovane si stava disintossicando dalla droga prima di scappare via. Convinzioni che hanno espresso durante la registrazione della trasmissione Porta a Porta, denunciando anche che due anni fa quando hanno visto i primi segni di malessere nella figlia non sono stati aiutati dalle strutture sanitarie. Sono stati costretti, hanno raccontato, a pagare privatamente uno psicologo per sostenere la figlia tre volte a settimana.
“Pamela – ha raccontato il padre – aveva un disturbo della personalità, la droga era una conseguenza. Per questo non ci spieghiamo come possa essersi allontanata”. Il dubbio che possa essere successo qualcosa all’interno della comunità con il passare del tempo per loro sta diventando una certezza. L’ultima volta che sono andati a trovarla, hanno sostenuto, stava bene ed era contenta del suo incarico di responsabile della lavanderia all’interno della comunità. “Ma dal 25 dicembre la ragazza ha cominciato a vomitare – ha spiegato la madre – ma a me lo hanno detto soltanto il 15 gennaio”.
“Quando fai i bagagli e lasci un posto – ha osservato il padre – vuol dire che hai avuto un problema”. I genitori pensano dal più piccolo, tipo il razionamento delle sigarette al più grande: “Qualcuno gli ha fatto qualcosa lì dentro”, ha detto la madre. I genitori escludono che Pamela si possa essere “bucata” per via della sua fobia delle siringhe. La droga, hanno sottolineato, l’ha sempre o inalata o fumata. Per loro, Pamela, era una ragazza ingenua che si fidava troppo degli altri, che voleva fare la criminologa e non l’estetista ed amava disegnare.
Un’adolescente che era felice di vedere ogni tanto riunita la sua famiglia, poiché il padre e la madre si erano separati quando lei aveva due anni. E a Innocent Oseghale, uno dei tre nigeriani in carcere per l’omicidio di Pamela che, tramite il suo legale ha espresso il desiderio di riabbracciare la figlia e la moglie, i genitori di Pamela rispondono: “Anche noi vorremmo riabbracciare nostra figlia”. E se fosse successo a tua figlia? Ha chiesto al nigeriano Alessandra Verni accusandolo di essere complice come gli altri visto che non è intervenuto. “Mia figlia – dicono – deve avere giustizia”.