PALERMO – Quando capì di essere stato tradito da un amico, quando si rese conto che la trattativa di alcuni rappresentanti dello Stato con la mafia era reale, Paolo Borsellino arrivò a piangere. “Essendo un uomo all’antica non l’aveva mai fatto – ha testimoniato il magistrato Alessandra Camassa -. Ricordo che Paolo, anche questo era insolito, si distese sul divano, e mentre gli sgorgavano delle lacrime dagli occhi disse: ‘Non posso pensare che un amico mi abbia tradito'”. Borsellino non fece in tempo a dire chi fosse quell’amico. La vedova ha raccontato che il marito, legato al generale Subranni, le confidò di aver saputo di sue presunte collusioni con la mafia. E le aveva detto che “c’era un colloquio tra la mafia e parti infedeli dello Stato”.
I contatti tra i carabinieri e Vito Ciancimino erano cosa nota a Borsellino a partire dal 28 giugno 1992, poche settimane prima che venisse assassinato. Gliene parlò la sua amica magistrato Liliana Ferraro. Dopo tre giorni Borsellino incontrò brevemente al Viminale l’allora ministro dell’Interno Nicola Mancino. Incontro che Mancino non ricorda. Quello che però l’ex ministro ha raccontato secondo la Procura di Caltanissetta “appare illogico e non verosimile… V’è da chiedersi se il senatore Mancino sia vittima di una grave amnesia, ovvero sia stato indotto a negare un banale scambio di convenevoli per il timore di essere coinvolto, a suo avviso ingiustamente, nelle indagini. Non si può tuttavia negare che residua la possibilità teorica che egli possa aver mentito ‘perché ha qualcosa da nascondere'”.