La Santa Sede si prepara a rimuovere i termini della prescrizione relativi agli abusi sessuali commessi dai sacerdoti, anche se da essi normalmente già si deroga. Si tornerà così alla prassi precedente. «Prima del 1898 – afferma mons. Charles J. Scicluna, promotore di giustizia della Congregazione per la Dottrina della Fede in un’intervista ad Avvenire diffusa in tedesco, francese, inglese e spagnolo dalla Sala Stampa della Santa Sede – quello della prescrizione dell’azione penale era un istituto estraneo al diritto canonico. E per i delitti più gravi solo con il motu proprio del 2001 è stata introdotta una prescrizione di dieci anni», anche se «in base a queste norme nei casi di abuso sessuale il decennio incomincia a decorrere dal giorno in cui il minore compie i diciotto anni».
In quanto «la prassi indica che il termine di dieci anni non è adeguato a questo tipo di casi, sarebbe auspicabile – spiega il responsabile vaticano delle inchieste sui casi di pedofilia – un ritorno al sistema precedente dell’imprescrittibilità dei delicta graviora». «Comunque – ricorda il promotore di giustizia – il 7 novembre 2002 Giovanni Paolo II ha concesso a questo dicastero la facoltà di derogare dalla prescrizione caso per caso su motivata domanda dei singoli vescovi. E la deroga viene normalmente concessa».
Nel caso che un sacerdote sia accusato di un delictum gravius, «se l’accusa è verosimile il vescovo ha l’obbligo di investigare sia l’attendibilità della denuncia che l’oggetto stesso della medesima» afferma ancora mons. Charles J. Scicluna. Con le norme volute da Wojtyla e Ratzinger nel 2001 «se l’esito di questa indagine previa è attendibile – spiega il promotore di giustizia – il vescovo non ha più potere di disporre della materia e deve riferire il caso alla nostra Congregazione, dove viene trattato dall’ufficio disciplinare».
Anche in passato, aggiunge Scicluna, «la normativa sugli abusi sessuali non è stata mai intesa come divieto di denuncia alle autorità civili», chiarisce inoltre Scicluna ricordando quanto stabilito dall’ormai celebre istruzione «Crimen Sollicitationis» la cui prima edizione risale al 1922 e che fu rivista da Giovanni XXIII nel 1962. «Una cattiva traduzione in inglese di questo testo ha fatto pensare – chiarisce il promotore di giustizia – che la Santa Sede imponesse il segreto per occultare i fatti. Ma non era così. Il segreto istruttorio serviva per proteggere la buona fama di tutte le persone coinvolte, prima di tutto le stesse vittime, e poi i chierici accusati, che hanno diritto – come chiunque – alla presunzione di innocenza fino a prova contraria. Alla Chiesa non piace la giustizia spettacolo».
«I casi di preti accusati di pedofilia vera e propria sono stati circa trecento in nove anni. Si tratta sempre di troppi casi ma bisogna riconoscere che il fenomeno non è così esteso come si vorrebbe far credere» ha aggiunto mons. Charles J. Scicluna. «Bisogna ricordare – sottolinea il responsabile vaticano delle inchieste sulla pedofilia – che il numero complessivo di sacerdoti diocesani e religiosi nel mondo è di 400mila. Quindi il dato statistico non corrisponde alla percezione che si crea quando questi casi così tristi occupano le prime pagine dei giornali».
Da quando nel 2001 Papa Wojtyla affidò alla Congregazione della Dottrina della Fede la competenza sugli abusi sessuali, le indagini del promotore di giustizia, spiega, «hanno riguardato circa 3000 casi di sacerdoti diocesani e religiosi che si riferiscono a delitti commessi negli ultimi cinquanta anni. Grosso modo nel 60 per cento di questi casi si tratta più che altro di atti di efebofilia, cioè dovuti ad attrazione sessuale per adolescenti dello stesso sesso, in un altro 30 per cento di rapporti eterosessuali e nel 10 per cento di atti di vera e propria pedofilia, cioè determinati da una attrazione sessuale per bambini impuberi. Nel 2003 e 2004 c’è stata una valanga di casi che ha investito le nostre scrivanie. Molti dei quali venivano dagli Stati Uniti e riguardavano il passato. Negli ultimi anni – rileva Scicluna – il fenomeno si è di gran lunga ridotto. E quindi adesso cerchiamo di trattare i casi nuovi in tempo reale».
Quanto alle condanne, «in un 10 per cento di casi, quelli particolarmente gravi e con prove schiaccianti, il Santo Padre si è assunto la dolorosa responsabilità di autorizzare un decreto di dimissione dallo stato clericale. Un provvedimento gravissimo, preso per via amministrativa, ma inevitabile. Nell’altro 10 per cento dei casi poi, sono stati gli stessi chierici accusati a chiedere la dispensa dagli obblighi derivati dal sacerdozio. Che è stata prontamente accettata. Coinvolti in questi ultimi casi ci sono stati sacerdoti trovati in possesso di materiale pedopornografico e che per questo sono stati condannati dall’autorità civile»