«La strage di Piazza Fontana ha avuto il significato di una maledizione per l’Italia, una maledizione dalla quale, purtroppo, non siamo ancora usciti».
Parla così, 40 anni dopo, il testimone trevigiano, Guido Lorenzon, dalle cui confidenze partì l’inchiesta del giudice istruttore Giancarlo Stiz che scoprì la pista neofascista e portò nel 1971 agli arresti di Franco Freda e Giovanni Ventura.
Fu Lorenzon, allora giovane segretario della sezione di Maserada della Dc, a capire che il suo amico libraio, Giovanni Ventura, poteva essere coinvolto nella stagione delle stragi, prima quelle sui treni e poi la bomba alla Banca dell’Agricoltura.
«Mi fece qualche accenno già nell’agosto di quell’anno, il 1969 – racconta Lorenzon all’ANSA – parlando delle bombe sui treni. Poi un giorno, mi pare a settembre, mentre stavo salendo in macchina a Treviso, mi fermò e mi disse: ‘vieni, devo farti vedere una cosa…»’.
Con Ventura, ricorda Lorenzon, c’era anche il fratello, Angelo. «Mi portò – prosegue – in un appartamento di via Manin dove vidi le armi, i fucili, le cassette di esplosivo con la scritta Nato. Voleva che gli indicassi un posto dove nasconderle. Sapevo però che Ventura non aveva mostrato le armi solo a me, altri le avevano vistè»’.
Fu così che Lorenzon decise di recarsi da un avvocato trevigiano, Alberto Steccanella, che informò pochi giorni dopo la strage di Piazza Fontana la Procura generale di Venezia. Il fascicolo finì al sostituto procuratore di Treviso, Pietro Calogero.
«Il giudice Stiz – racconta Lorenzon – mi chiamò in causa un anno dopo. La Procura aveva proposto l’archiviazione, ma invece Stiz volle proseguire con l’inchiesta».
«Certamente rifarei tutto quello che ho fatto allora – conclude Lorenzon – nella speranza che anche altri potessero parlare. C’erano altre persone che come me avevano relazioni con Ventura e avrebbero potuto dare informazioni importanti su quanto lui sapeva. Ma questo 40 anni fa».
