
PISTOIA – Il Tribunale di Pistoia ha assolto dall’accusa di “invasione di edifici” dieci persone che nel 2008 avevano occupato la “palazzina effe“, un immobile in pessime condizioni appartenuto all’ex Breda, e successivamente passato al patrimonio del Comune di Pistoia.
I dieci imputati (studenti, operai, insegnanti, professionisti, attivisti), erano Roberto Aiardi, Simona Barni, Alessandro Biagiotti, Gabriele Cappelli, Carlo Dami, Antonio Ginetti, Chiara Moretti, Francesco Scirè e Marco Tonarelli, oltre a Giuseppe Bigoni, che nel frattempo era morto.
Sono stati assolti perché “il fatto non sussiste”. Ad emettere la sentenza è stato il giudice monocratico Luciano Costantini, che motiva la sua assoluzione col fatto che l’immobile, appartenente al pubblico, non era stato sottratto per finalità private, ma per restituirlo alla destinazione d’uso propria di un palazzo del Comune, ovvero quella di un bene pubblico.
Il Giornale, che parla di “esproprio proletario” che così “entra a far parte dell’ordinamento italiano nella rossa Pistoia”, ricostruisce la storia della “palazzina effe”:
“Un’occupazione che tre mesi dopo quella data, grazie all’accordo con la Spes (società pistoiese di edilizia sociale che opera per conto del Comune e che gestisce tutti gli alloggi di edilizia residenziale pubblica della provincia), portò alla nascita ufficiale dello «Spazio liberato», concesso dalla Spes in comodato d’uso per farne un luogo di musica, informazione, performance artistiche, mostre, impegno politico. Pur invadendo quell’edificio pubblico, non ne avevano alterato la prevista destinazione economico-sociale. Anzi, la loro condotta era orientata proprio all’esecuzione di quelle opere di interesse generale necessarie affinché quella vecchia palazzina potesse essere utilizzata per i fini che la stessa amministrazione comunale si era preposta”.
Il Tirreno riporta le motivazioni del giudice:
«Il delitto di invasione di edifici – spiega il giudice Costantini nelle motivazioni della sua sentenza – rientra tra i reati contro il patrimonio e trova la sua ratio nella sottrazione del godimento del bene a colui che sul medesimo vanti diritti reali. Nella fattispecie, come già preannunciato al momento dell’intervento dei Vigili urbani dall’imputato Dami – che si è presentato come referente del gruppo di persone che avevano occupato l’immobile – l’intenzione degli imputati non era quella di esercitare sul bene pubblico diritti di signoria con esclusione di quelli proprietari, ma quella di consentire all’immobile di spiegare la funzione pubblica tipica della sua proprietà».
«Infatti – prosegue il giudice – attraverso le opere di manutenzione e pulizia di un fabbricato fatiscente da anni, gli imputati intendevano riconsegnare alla collettività locali da molto tempo sottratti all’uso collettivo. Ciò trova un riscontro oggettivo nel manifesto appeso alle pareti con cui si pubblicizzava l’assemblea fissata per le ore 16,30 del 19 aprile 2008, seguita da una cena e da una festa, per celebrare la restituzione alle città dell’immobile».
Il giudice sottolinea anche come la destinazione a finalità pubbliche del fabbricato fosse stata confermata dal contratto con cui, il 4 luglio 2008, la Spes aveva concesso l’immobile in comodato d’uso gratuito proprio al “Gruppo per gli spazi sociali autogestiti” di cui facevano parte anche Dami e Sciré: vi si legge che i locali devono essere utilizzati esclusivamente per attività culturali e incontri.
Conclusione del Giornale:
Allora tutt’apposto. Da domani chiunque voglia occupare qualcosa che il Comune non usa, potrà tranquillamente farlo. A patto che fuori dalla porta appenda un manifesto. Che bella l’Italia.
Conclusione del giudice Costantini, sintetizzata dal Tirreno:
Non solo, pur invadendo quell’edificio pubblico, non ne avevano alterato la prevista destinazione economico-sociale. Ma anzi: la loro condotta era orientata proprio all’esecuzione di quelle opere di interesse generale necessarie affinché quella vecchia palazzina potesse essere utilizzata per i fini che la stessa amministrazione comunale si era proposta. Nessun reato quindi, in linea con la più recente e condivisa giurisprudenza.
