Dott.sa Scarpellini: “Siamo in trincea, io picchiata da paziente”

ROMA – Al Policlinico Umberto I i problemi non sono solo dei pazienti, come racconta una dottoressa del Pronto soccorso al ‘Corriere della Sera’, sono gli stessi medici ad essere “in trincea”. A lei per esempio, Gabriella Scarpellini, che scelse da giovane di stare al Pronto soccorso invece che in clinica, una volta un paziente la aggredì e le ruppe una mano. Ma, dice, sono cose che succedono il medico deve sempre comunque pensare alla salute del paziente. Per questo interviene sulle polemiche di questi giorni, parla di tagli ai posti letto e di difficoltà ma poi puntualizza: i medici del Pronto soccorso lavorano, e tantissimo, e spesso in cattive condizioni. Ma meglio legare una malata di Alzheimer alla barella per non farla cadere e fare un massaggio cardiaco per terra, su una superficie dura, piuttosto che “seguire le linee guida” e farli aspettare rischiando di ucciderli. i

“Noi non dobbiamo avere paura — dice la Scarpellini al ‘Corriere della Sera’ — critiche e insulti ci saranno sempre. Un paziente nel 2002 mi spaccò lo scafoide, un osso della mano, io ero capoturno qui al pronto soccorso. Ma sono cose che succedono e succederanno: questa è una trincea. Ho provato dolore, però, ieri, quando sono scoppiate tutte le polemiche. Mi sono detta: ecco, non basta fare le 10, le 11, tutte le sere, fare le notti, i turni doppi e anche tripli, se poi tutti gli anelli della catena non stanno insieme. Se tutti, cioè, ma proprio tutti, dall’ultimo infermiere fino al ministro della salute, non si assumono ognuno la propria responsabilità. E sa che vuol dire? Significa prendersi in carico, veramente, il paziente. Perché il pronto soccorso è la porta dell’ospedale ed è nostro dovere rispondere a tutte le richieste d’aiuto. Perciò non ci possiamo fermare, non ci dobbiamo fermare, anche se la casa può contenere 10 persone e invece alla porta ne bussano 100. Così, quando non c’è posto, le persone le mettiamo sulle barelle, è vero, ma i malati d’Alzheimer cadono dalle barelle e per non farli cadere bisogna legarli! E fare un massaggio cardiaco a una persona distesa in terra, tanto per richiamare un’altra immagine-choc di questi giorni, non è affatto una manovra sbagliata: perché se manca il letto, il massaggio è meglio farlo per terra che su una sedia, perché per soccorrere chi in quel momento ha bisogno ci vuole una superficie rigida…”.

La dottoressa ha anche delle idee per migliorare la situazione: “Servirebbe per esempio – dice – che il sabato e la domenica i medici di base ma anche gli stessi medici dei nostri reparti fossero più disponibili, perché d’accordo il diritto al riposo di ognuno, ma in questo modo, da una parte, si potrebbero dimettere molti più pazienti e dunque agevolare il turnover dentro l’ospedale e, dall’altro lato, molti malati avrebbero il medico di famiglia e dunque non ci sarebbe bisogno di intasare il pronto soccorso. Eppoi servirebbe regolarizzare i tanti giovani medici Co.co.co che lavorano qui da noi (9!) e motivare di più anche tanti infermieri delle cooperative che guadagnano 800 euro al mese… Altrimenti sapete qual è il rischio? Che la medicina diventi sempre più difensiva, che per non subire critiche o denunce si adegui sempre più alle linee-guida, ai comportamenti standardizzati, perdendo però di vista il paziente. Anzi, la persona”.

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