GENOVA – Su Facebook comincia già a girare il sospetto che il ponte Moandi di Genova sia crollato perché qualcosa, forse un fulmine, ha fatto esplodere le cariche esplosive piazzate in appositi alloggiamenti a causa del fatto che quando è stato costruito c’era ancora la Guerra Fredda e molti ponti italiani erano minati per farli saltare in caso di invasione militare.
La notizia viene supportata da una serie di osservazioni da parte di varie persone riguardo il taglio netto che si nota nelle strutture di cemento là dove è crollato il tratto che ha ucciso decine di persone: [App di Blitzquotidiano, gratis, clicca qui,- Ladyblitz clicca qui –Cronaca Oggi, App on Google Play] un taglio come se ci fossero state delle apposite cariche esplosive. C’è anche chi sostiene di avere notato nelle foto moncherini di acciaio fuso, proprio come se a fonderlo sia stato il calore dell’esplosione in questione. Non manca neppure chi riporta testimonianze di gente che dice di avere visto prima un lampo, come di un fulmine, e poi di avere udito delle esplosioni seguite dal crollo della campata.
Chi sospetta ci sia stata l’esplosione, accidentale, fa notare che la Svizzera i suoi ponti e viadotti con l’Italia – e con la Germania – li ha davvero minati tutti dopo la guerra e li ha sminati solo nel maggio ’97 (http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1997/05/15/la-svizzera-smina-ponti-con-italia.html ). Il che viene utilizzato a conferma del fatto che non si può escludere a priori che anche il ponte di Genova, come molti ponti italiani, potrebbe essere stato minato. E che quindi sia crollato per esplosione accidentale dell’esplosivo.
Ci sono però alcune osservazioni da fare. La prima è che i ponti e i viadotti svizzeri erano minati alla base dei piloni e non alla loro testa, come dovrebbe invece essere il caso del ponte di Genova dato che presenta un taglio netto nella parte alta dei sostegni di cemento. La seconda osservazione è che è vero che a suo tempo sono stati minati – e non si sa se e quando siano stati sminati – per esempio tutti i ponti del Friuli e forse anche quelli delle Tre Venezie, ma era una precauzione in caso di invasione dall’est comunista, e non da parte di un Paese della Nato qual è la Francia, eventuale utilizzatrice del ponte di Genova in caso di invasione.
Che tutti i ponti del Friuli fossero stati minati, con apposite cariche sistemate in apposite camere all’interno dei manufatti, lo so per certo: nel ’70-’71 ho fatto il militare a Udine nel Terzo Reggimento Genio Guastatori, nell’affollatissima caserma Pio Spaccamèla, e queste cose le sapevo a causa dell’ufficio nel quale lavoravo come scritturale. Di più non posso dire perché all’epoca si trattava di argomenti classificati come “segreto” e “segretissimo”, e anche se è passato quasi mezzo secolo e di segreti di Pulcinella ritengo di asserne comunque vincolato. E’ però un fatto che per contrastare eventuali invasioni i ponti per renderli inutilizzali per un lungo periodo si minano alla base dei piloni di sostegno e non alla loro testa, cosa questa che lasciando intatti i piloni permetterebbe una veloce riparazione del danno. Per ricostruire il tratto mancante del ponte di Genova o comunque per renderlo percorribile i militari del Genio ci metterebbero meno di una settimana, mentre invece se fossero crollati i piloni e le arcate di sostegno i tempi sarebbero ben più lunghi.
Che in Italia si sia ormai portati a sospettare di tutto, specie con le caldane estive, è un dato di fatto. Ma che certe precauzioni anti invasioni abbiano fatto parte fino a ieri della realtà nazionale lo dimostra, per esempio, il particolare che l’autostrada del Brennero per molti anni è stata tenuta a una sola corsia, in modo da rallentare eventuali invasioni dal nord, strozzando non di poco il traffico specie quello turistico verso Verona e il Garda. Guarda caso, per molto tempo è stata a una corsia anche l’autostrada Milano-Torino, nonostante che all’epoca in cui è stata progettata e costruita è assai difficile che non avessero preventivato l’aumento crescente del traffico, visto anche che si trattava di un’arteria che univa le due capitali industriali d’Italia. Insomma, qualche esame anche chimico-fisico sui monconi del ponte di Genova non guasterebbe: almeno per tacitare sul nascere ipotesi deliranti.