ROMA – Alcuni studiosi ”rispetto ad episodi quali quelli che anche in Italia si sono verificati, come per la tragedia di Avetrana o quella di Potenza o quella, recente, di Ascoli Piceno, o anche per casi di persone e minori scomparsi dei quali non si trova traccia, hanno parlato persino di pornografia del dolore”. La dura citazione è del presidente del Garante per la protezione dei dati personali, Francesco Pizzetti che nella sua sesta relazione annuale al Parlamento punta il dito su come i media e in particolare sui programmi tv di approfondimento trattano alcuni casi di cronaca.
”In alcuni casi – spiega Pizzetti – abbiamo dovuto registrare forme di vero e proprio accanimento informativo, la punta dell’iceberg di un fenomeno che riguarda soprattutto alcune trasmissioni televisive e nuove forme di diffusione e informazioni e immagini sul web”.
Abusi che sono ”intollerabili forme di violenza” per il telemarketing o anche invasioni di fax promozionali che sono un’altra ‘piaga d’Egitto’., ha detto il presidente, annunciando che presto arriveranno ”sanzioni pesanti rispetto al telemarketing fatto in violazione della nuova normativa”. Pizzetti denuncia ”una innovazione legislativa che non ha incontrato il nostro favore – dice – ma alla quale ci siamo dovuti adeguare, il legislatore ha modificato la normativa che vietava di fare telefonate a contenuto commerciale senza un preventivo consenso dell’abbonato. Oggi chiunque può ricevere chiamare a fini di marketing e a sola difesa possibile è quella di iscriversi ad un apposito registro delle opposizioni, sul cui funzionamento anche il Garante è chiamato a vigilare”.
Spiega Pizzetti che il garante per ”evitare abusi e proteggere i cittadini abbiamo precisato che le chiamate a fini di marketing possono essere fatte solo previo confronto col registro, salvo che il chiamante abbia preventivamente acquisito un esplicito consenso e che il nuovo sistema non si applica alla propaganda politica”. Ma i limiti sono molti e le proteste fioccano: da febbraio già più del doppio di tutto il 2010. Anche perché continuano ad essere disturbati anche coloro che si sono iscritti al registro. A questo proposito il presidente critica il decreto sviluppo perché a suo avviso le misure contenute ”comportano modifiche al nostro codice che, nella forma attuale, sono per molti aspetti inaccettabili”.
”Con gli smarthphone ognuno di noi è, quasi sempre inconsapevolmente, un Pollicino che ha in tasca il suo sacchetto di sassolini bianchi che escono uno ad uno per segnarne gli spostamenti”, ha detto Pizzetti. ”I rischi connessi agli smarthphone e alle loro applicazioni derivano essenzialmente dal fatto che i nostri telefonini – ha aggiunto – sono costantemente localizzati, e che il gran numero di dati dati e informazioni in essi contenuti, dalle rubriche telefoniche all’agenda, dalle foto alle annotazioni, possono essere conosciuti, trattati, conservati, utilizzati da soggetti dei quali non abbiamo consapevolezza né controllo”. Per questo per il presidente per le nuove tecnologie serve una ”informativa di rischio” simile a quelle dell’usa dei farmaci o sui pericoli dell’eccessiva pubblicità.
In rete il rischio, soprattutto per i giovani, è che ”ciascuno diventi allo stesso tempo il potenziale controllore e il possibile controllato, il cacciatore e la preda. Il pericolo di diventare preda – aggiunge – è particolarmente alto per i minori che, anche giovanissimi, utilizzano le tecnologie più degli adulti, spesso senza avere adeguata consapevolezza delle conseguenze”.
Per Pizzetti in particolare ”nuove forme di comunicazione legate all’uso degli smartphone e dei social network spinge specialmente i giovani a rivendicare il diritto a tutto sapere e tutto denunciare”. Oggi ”l’esposizione di sé e dei propri amici e conoscenti impera sui blog, sui social network, in ogni programma televisivo e in ogni intervista a persone coinvolte, a qualunque titolo, in fatti di cronaca, talvolta particolarmente terribili”. Insomma viviamo ”nel mondo della autoesposizione e della trasparenza globale che sta diventando, senza che ce ne accorgiamo, quello del controllo globale”. Quindi per il presidente ”è essenziale interrogarsi se esista, e in che limite, il diritto a diffondere liberamente in rete non solo i comportamenti e i sentimenti propri ma anche quelli degli altri. Alla base sta l’idea che sulla rete il principio di reponsabilita’ sia travolto dal prevalere sempre e comunque della libertà di comunicazione e diffusione del pensiero. Una idea che, nella sua radicalità, non può essere accolta”. In particolare ”i minori rischiano di essere vittime inconsapevoli di loro stessi perché chiamati a rispondere di fatti pi§ grandi di loro, come nel caso in cui diano imprudentemente l’assenso a proposte di acquisto o cadano vittime di forme di adescamento, o mettano in rete dati, foto e filmati di se stessi e dei propri amici, senza considerare i pericoli attuali e futuri”.
Il presidente del Garante fa però un distinguo: ”Non è nelle competenze del Garante sindacare il ricorso da parte dell’autorità giudiziaria a mezzi di prova consentiti dalla legge, né intervenire laddove le notizie tratte da atti giudiziari abbiano in contenuto di evidente interesse pubblico, specie se riguardano persone note o che esercitino funzioni pubbliche e che quindi, fermo restando il principio di essenzialità e non eccedenza dell’informazione, hanno una protezione della riservatezza necessariamente attenuata”.
A suo avviso è necessario che i media ”rispettino scrupolosamente i principi fissati nel Codice deontologico, e che l’Autorità giudiziaria per prima assicuri il segreto istruttorio, perseguendo gli eventuali autori delle violazioni”. Ma e’ anche convinto che sono necessarie alcune condizioni di fondo, la prima che ”i giudici esercitino il loro ruolo sempre e solo nei processi”; la seconda che ”anche le persone pubbliche abbiano la garanzia di processi in tempi ragionevoli e compatibili con le esigenze della giustizia, e allo stesso tempo accertino di rendere conto dei loro comportamenti ai cittadini e agli elettori nel dibattito pubblico”; la terza che gli operatori dell’informazione ”rispettino rigorosamente le responsabilità e i principi della loro professione”.