Per 20 anni su 24 di servizio si è assentata da lavoro. Per questo una professoressa di Storia e Filosofia della scuola secondaria di secondo grado è stata destituita dal Miur. Ora la Cassazione ha confermato la destituzione, attribuendo alla docente una “inettitudine permanente e assoluta all’insegnamento”.
La prof era finita sotto i riflettori del Miur dopo le lamentele degli studenti che nei soli 4 mesi di fila in cui si era dedicata alla classe, avevano riscontrato “impreparazione”, “casualità” nell’assegnazione dei voti e il presentarsi senza libri di testo. Così è scattata l’ispezione ministeriale che ha definito “incompatibili con l’insegnamento” le sue modalità di fare lezione.
Stesso verdetto ha ora emesso la Cassazione, respingendo il ricorso della docente che si era appellata al principio costituzionale della “libertà di insegnamento”.
“La liberà di insegnamento in ambito scolastico – sottolinea la Cassazione – è intesa come autonomia didattica diretta e funzionale a una piena formazione della personalità degli alunni, titolari di un vero e proprio diritto allo studio”.
“Non è dunque libertà fine a se stessa, ma il suo esercizio – prosegue il verdetto 17897 – attraverso l’autonomia didattica del singolo insegnante, costituisce il modo per garantire il diritto allo studio di ogni alunno e, in ultima analisi, la piena formazione della personalità dei discenti”.
Ad avviso degli ermellini, dunque, il concetto di libertà didattica “comprende certo una autonomia nella scelta di metodi appropriati di insegnamento” ma questo “non significa che l’insegnante possa non attuare alcun metodo o che possa non organizzare e non strutturare le lezioni”.
Durante la tre giorni di ispezione del Miur, sollecitata dal dirigente della scuola secondaria di Chioggia dove la prof – destinataria di assegnazioni annuali in quanto moglie di un ufficiale della Guardia di Finanza – prestava servizio, era emerso che la docente era disattenta “verso gli alunni durante le loro interrogazioni” in quanto intenta a un “uso continuo del cellulare con messaggistica”.
In una classe, aveva utilizzato le foto del libro di testo che servivano per fare la verifica in un’altra classe. Mentre interrogava, capitava che si mettesse a parlare con uno studente diverso da quello che doveva rispondere. Altra accusa formulata dal Miur anche la “scarsa cura delle lezioni”.
Accertate pure “le gravi imprecisioni nel redigere i programmi finali delle classi quarte (ad esempio, programma e numero di ore diversi da quelli effettivamente dedicati alle spiegazioni, argomento su Hegel in realtà mai trattato in classe)”.
Il monitoraggio delle tre ispettrici inviate dal Miur, nel marzo 2013, culminava nel “concorde giudizio” sulla “assenza di criteri sostenibili nell’attribuire voti, la non chiarezza e confusione nelle spiegazioni, l’improvvisazione, la lettura pedissequa del libro di testo preso in prestito dall’alunno, l’assenza di filo logico nella sequenza delle lezioni, l’attribuzione di voti in modo estemporaneo ed umorale, la pessima modalità di organizzazione e predisposizione delle verifiche”.
Pertanto la Cassazione ha confermato la destituzione, come già stabilito dalla Corte di Appello di Venezia nel 2021. In primo grado, invece, il Tribunale nel 2018 aveva detto no alla destituzione ritenendo che nonostante “la disorganizzazione e faciloneria” della docente, l’ispezione di tre giorni fosse un periodo di osservazione “troppo breve” per certificare “una inettitudine assoluta e permanente”. Ora la Cassazione ha posto la parola fine.
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