Roberto Angelini datore di lavoro, anche in nero. Gli sembrava di far del bene...
Roberto Angelini cantautore, e anche ristoratore. Sì, ha un ristorante a Roma, sushi a San Lorenzo per la precisione. E, come tutti i ristoratori, per lui sono mesi e mesi che è tempo di magri o niente incassi. Tempo di chiusure obbligate e tempo di tentare di metterci una pezza con le consegne a domicilio oggi dette delivery. Quindi Bob Angelini compra un furgoncino per le consegne e ci mette sopra a consegnare…
Il ristorante di Bob Angelini ha dieci dipendenti (lo attesta lui stesso) e Angelini argomenta sui social che ha fatto di tutto per non metterli in Cassa Integrazione, Cassa che accusa (non senza ragione) di “tempi biblici. Tra il “tutto per” anche, sempre a detta di Angelini il dar da lavorare e consegnare ad altri che dipendenti del ristorante non sono. Tra questi quella che poi Bon Angelini definirà “una pazza incattivita dalla vita”, salvo poi pentirsene.
Succede che un’arruolata alle consegne è in strada dopo il tempo del coprifuoco e che viene fermata per questo. Non può che dire: sono fuori per lavoro. Quale lavoro è la domanda. Consegne è la risposta. Consegne per conto di quale azienda? E qui non può che venir fuori che non c’è contratto, che è lavoro in nero. Non è una denuncia, è una confessione. Cui segue accertamento della Guardia di Finanza sul ristorante di Bob Angelini e quindi sanzione di 15 mila euro per lavoro nero e illegale.
Angelini la prende male, molto male. Scrive e fa sapere di sentirsi punito per aver fatto del bene. Sì, proprio così, la frase è: “mi sembrava di fare del bene”. Dando lavoro, anche a nero, gli sembrava di aiutare, fare del bene o almeno fare un favore. Mescola tutto Angelini: la pandemia, le lentezze burocratiche, l’esiguità dei ristori, gli esborsi per continuare l’attività…Fino ad elaborare un concetto chiaro: il lavoro nero di necessità. E anche di opportunità.
Lavoro nero di necessità, come corollario per rimanere in attività: far lavorare con i costi di contratto altri oltre ai dieci dipendenti avrebbe, sostiene Angelini, messo in forse tutta l’azienda e anche i posti di lavoro regolari. Lavoro nero di opportunità, perché in tempi di Covid bisogna arrangiarsi e galleggiare con ogni tipo di salvagente. Lavoro nero anche di solidarietà nella versione emotiva prima e razionale poi di Bob Angelini: quel “mi sembrava di fare del bene”.
La vicenda di Bob Angelini e il ristorante racconta di come la regola o quasi sia di essere prima il proprio io economico e sociale e poi…poi qualsiasi altra cosa e identità. Succede a tutti, lo fanno tutti. Il lavoro nero somministrato dagli altri è cattiva o criticabile pratica. Se invece somministrato in casa e azienda propria è legittima, anzi doverosa auto difesa e una sorta di beneficienza sociale.
La sanzione pecuniaria agli altri è rispetto della regola, la sanzione pecuniaria a se stessi è incomprensibile sopruso. Il rider altrui che denuncia è un piccolo eroe della legalità e dignità del lavoro. La rider tua che incappa nei controlli e non tiene bocca chiusa è “pazza incattivita dalla vita”, irriconoscente beneficiaria di una buona azione. Succede a tutti, anche ai democratici. Che poi però si scusano sì, ma continuano a sentirsi vittime, ristoratori prima che democratici.