Rom scarcerato, la favola rom cui il giudice ha creduto

Corazon Perez Abordo, la vittima dell’incidente del 27 maggio

ROMA – Per  trovare e catturare due dei quattro rom a bordo dell’auto killer che il 27 maggio scorso ha ucciso una colf filippina di 44 anni e ferito altre 8 persone, la polizia ci ha messo cinque giorni. Uno di quei due rom, Samuel, 19 anni, in carcere ci è rimasto due giorni. Il tempo di trovarsi un avvocato, subire l’interrogatorio di garanzia e poi fuori. Perché, dice il magistrato che lo ha deciso, quella macchina non la guidava lui. Non solo: Samuel avrebbe urlato a Antony, il ragazzo di 17 anni che secondo la ricostruzione dei 4 rom dentro l’auto era alla guida di “fermarsi subito”. Quindi il gip ha deciso: fermo valido, indagato per concorso in omicidio colposo, ma intanto può tornare a casa.

Il giudice ha evidentemente deciso applicando la legge. Scatenando le prevedibili proteste di chi in parte strumentalizza e in parte non capisce: politica e parte della cittadinanza. Il problema, però, è la narrazione che c’è dietro la decisione del gip. Massimo Gramellini su La Stampa la definisce “favola ingegnosa alla quale sembrano credere soltanto quelli che lo hanno rimesso in libertà”.

Una favola, appunto, che suona più o meno così: “C’erano una volta 4 rom che viaggiavano su un’auto senza assicurazione. Un brutto giorno quei quattro trovarono un posto di polizia ed ebbero paura perché si sa “che la polizia mena”. Il più giovane di loro, un ragazzo di 17 anni, che era alla guida, per errore invece di frenare premette l’acceleratore. Non voleva scappare, fu solo un errore. Che causò  un morto e nove feriti. Nell’auto, insieme  lui c’erano anche il suo anziano papà malato di cuore, la sua fidanzatina, anche lei minorenne ma già così esperta da insegnargli  i rudimenti della guida e il suo fratello Samuel, di due anni più grande, che subito urlò al fratello di fermarsi subito. Purtroppo inascoltato. I due giovani a quel punto furono costretti a fuggire per paura finché la loro mamma, sinceramente pentita, aiutò la polizia a ritrovarli. Il giovane Antony, sinceramente pentito, se la cavò con un paio d’anni di carcere e tutti gli altri tornarono subito liberi”.

Qualcosa nella favola non torna. Basta pensare a cosa ha detto la mamma di Antony per farsi venire un sospetto: “Ti fai due tre anni di carcere e poi esci, tieni duro”. Perché Antony ha 17 anni. E sarà processato e giudicato, come è giusto, da minorenne. Eppure è strano. Su quella macchina c’è un papà (nullatenente, ma con diverse auto) seduto sul sedile posteriore. Lontano dal volante. Un fratello maggiorenne che potrebbe e non guida. Una donna che pur minorenne sarebbe in grado di spiegare ad Antony come si usa la pedaliera. Ma non guida neppure lei. Guida il minorenne inesperto. Il sospetto è che nella favola rom il ruolo di chi causa il danno sia stato affibbiato a chi meno per quel danno pagherà. E il giudice per le indagini preliminari ci crede. Crede a un padre che se ne sta tranquillo sul sedile posteriore di un auto guidata da un figlio senza patente che non sa neppure distinguere il freno dall’acceleratore. E crede alla favola di un fratello “pentito” che pure non si consegna alla polizia solo per non lasciare solo il suo fratellino minore.

Scrive Gramellini:

Davvero strano l’equipaggio di quell’auto, a cui il giudice attribuisce tanta credibilità. Un diciassettenne senza patente al volante di una vettura senza assicurazione che al posto di blocco si fa prendere dal panico e schiaccia il pedale dell’acceleratore credendo si tratti del freno: e non per un attimo, ma per un chilometro intero.
(…)
Chi ha applicato la legge col paraocchi è consapevole che a Roma c’è un quartiere blindato, dove i fascisti di Casa Pound soffiano sull’animo risentito degli abitanti? I fomentatori di odio ringrazieranno per il pacco dono di una liberazione immediata che si fa beffe del senso comune e delle forme elementari di prudenza. Se esiste un sistema legale per fomentare il razzismo, questa decisione lo ha brevettato.

 

 

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Emiliano Condò