
Roma, chiude in casa la fidanzata e la costringe a tatuarsi il suo nome sul viso: 41enne condannato (foto ANSA)
Si erano conosciuti sui social, ed erano subito andati a vivere insieme, alle porte di Roma, ma in brevissimo tempo la convivenza si è rivelata un inferno per la ragazza, che veniva picchiata e maltrattata, e poi costretta a farsi tatuare sul viso, da un tatuatore che non sospettava la mancanza di consenso della vittima, il nome del suo compagno e altri segni indelebili come croci e lacrime.
Tatuaggio sul viso imposto dal fidanzato
Confermando la condanna a sei anni e otto mesi di reclusione per l’imputato – un romano di 41 anni – la Cassazione, nel verdetto depositato il 26 settembre, sottolinea che anche se si è trattato di un breve periodo di convivenza, il rapporto tra i due è stato “intenso e stabile” e dunque è potuta scattare l’accusa di maltrattamenti in famiglia che ha reso possibile perseguire d’ufficio la coppia per paura di altre violenze non aveva nemmeno denunciato.
Ma quando lui ha iniziato a picchiarla in un locale pubblico, sono intervenute le forze dell’ordine ed è venuta a galla tutta questa storia – avvenuta nel dicembre 2019 – di prevaricazione e abusi. L’uomo che è in carcere a scontare la sua pena, è stato condannato anche per lesioni aggravate e per aver deformato l’aspetto della sua ex compagna “mediante lesioni permanenti al viso”, reato perseguito dall’art. 583 quinquies del codice penale messo in campo nel 2019 contro le aggressioni con l’acido corrosivo e inserito in un pacchetto di norme contro la violenza domestica e di genere. “In particolare – scrive la Cassazione – il reato di deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso sarebbe stato commesso inducendo in errore l’esecutore materiale di alcuni tatuaggi impressi al volto della vittima, circa la sussistenza del consenso di quest’ultima”.
Condannato a sei anni e otto mesi di carcere
L’uomo è stato condannato con rito abbreviato in primo grado dal Gup del Tribunale di Velletri e poi – il 19 febbraio 2021 – dalla Corte di Appello di Roma. Non ha trovato condivisione, presso gli ‘ermellini’ della Quinta sezione penale, la tesi difensiva che sosteneva la non configurabilità del reato di maltrattamenti dato che “non vi sarebbe stato alcuno stabile rapporto di continuità familiare nè alcun legame di reciproca assistenza per un apprezzabile periodo di tempo: la relazione tra i due sarebbe durata solo quattordici giorni”.
Ad avviso della Suprema Corte, invece, “emerge che il rapporto tra i due, pur non essendo durato a lungo, è stato intenso e stabile e che la coppia progettava di prolungare la vita in comune” per questo “fondatamente”, afferma il verdetto, la Corte di Appello ha ritenuto che si fosse in presenza di un rapporto di convivenza “giuridicamente rilevante”, tutelato dalla legge. “E’ configurabile il reato di maltrattamenti in famiglia – conclude la Cassazione – anche in presenza di un rapporto di convivenza di breve durata, instabile e anomalo, purchè sia sorta una prospettiva di stabilità e una attesa di reciproca solidarietà”. Cosi’ il ricorso dell’uomo è stato respinto con condanna alle spese processuali e a pagare 3.510 euro per la difesa della parte civile.
