Roma. I funerali di Alessandro Romani, parà morto in Afghanistan: c’è anche Napolitano

L'arrivo della bara di Alessandro Romani in Italia

Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, si è recato alla basilica di Santa Maria degli Angeli a Roma per partecipare ai funerali solenni del tenente Alessandro Romani, il parà ucciso in Afghanistan.

Presenti, tra le altre autorità, i presidenti di Senato e Camera, Renato Schifani e Gianfranco Fini, il sottosegretario Gianni Letta, i ministri Ignazio La Russa, Renato Brunetta, Giorgia Meloni, il governatore del Lazio, Renata Polverini, il presidente della Provincia di Roma, Nicola Zingaretti, il sindaco della Capitale, Gianni Alemanno, i massimi vertici militari e delle foze dell’ordine.

Fra i politici, presenti il leader dell’Udc, Pier Ferdinando Casini e Piero Fassino del Pd. L’ingresso del feretro avvolto nel Tricolore nella basilica è stato salutato da un applauso della gente presente.

A celebrare il rito è stato l’ordinario militare, monsignor Vincenzo Pelvi. In prima fila, davanti al feretro, ci sono i genitori del tenente Romani, Carlo ed Elsa Chemotti.

Durante l’omelia, il prete ha spiegato che ”Alessandro in Afghanistan voleva che gli ordigni non spegnessero più i sogni dei bambini, che le donne non fossero più sfigurate e lapidate, che gli uomini non fossero più legati su pali in attesa della morte, dinnanzi agli occhi dei figli”. Alessandro, ha ricordato monsignor Pelvi, ”era un uomo delle forze speciali che non amava parlare di sè, mai in cerca di gloria, sempre convinto del coraggio di esserci”.

”Questa bara – ha proseguito l’ordinario militare – rivestita dalla luce del nostro Tricolore, è cattedra prestigiosa di vita e non di morte. Solo chi ama può diventare per gli altri una presenza di luce. Un giovane, il nostro Alessandro, dai grandi ideali, modello di una vita realizzata e spesa per gli altri”.

Con il dono della vita, ha aggiunto, ”ti sei come issato sul candelabro per illuminare chi brancola nella notte dell’odio. Non ti sei curvato su te stesso, sulla tua storia, nè ti sei preoccupato delle tue paure o delle tue ferite, perché avevi a cuore di restituire dignità umana ad ogni persona. E tu, prima per il popolo iracheno e poi per quello afgano, sei stato luce di speranza, convinto che la vita di ogni uomo e di tutto l’uomo e’ un valore non negoziabile”.

”Il sacrificio della tua vita – ha proseguito l’omelia – è un ammonimento circa la necessita’ di abbandonare la mentalità di considerare i poveri come fardello e come fastidiosi importuni. E pure solo assieme a loro possiamo creare un mondo più giusto e per tutti più prospero”. La guerra, ha concluso monsignor Pelvi, ”non è mai inevitabile e la pace è sempre possibile. Anzi, è doverosa. E’ giunto il momento di una nuova primavera della storia, il momento di recuperare la fiducia, coltivare il dialogo, alimentare la solidarietà e l’amicizia dei popoli”.

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