ROMA – Una organizzazione che si ispirava al metodo dei terroristi degli anni di piombo per non essere intercettata. I colloqui non avvenivano per telefono, ma in luoghi pubblici, all'aperto, in luoghi fissati di volta in volta. Nelle situazioni estreme si ricorreva alle mail, ma con l'utilizzo di codici cifrati ''Alfa'' e ''Basico''.
E' uno dei profili degli appartenenti al filone romano dell'organizzazione di narcotrafficanti internazionali sgominata grazie alla collaborazione tra la squadra mobile di Roma e la Dea statunitense. Complessivamente 66 arresti, tra Roma, Boston ed altre località ; 14 le misure emesse in Italia su iniziativa del procuratore generale Giancarlo Capaldo ed eseguite un anno fa. Notizia, questa, tenuta in gran segreto per evitare di pregiudicare gli sviluppi dell'indagine americana conclusasi ieri.
Gli indagati romani sono già tutti sotto processo per associazione a delinquere finalizzata al traffico internazionale di droga e riciclaggio. Duecentoventi chilogrammi di cocaina sequestrati nella capitale (1.800 chilogrammi complessivamente) così come 400.000 euro e beni, tra soldi riciclati in istituti di credito di San Marino (1,5 milioni di euro) e beni di lusso(ville, auto, ed anche un maneggio). A capo dell'organizzazione romana c'era un insospettabile commerciante di via Appia, Damaso Grassi, di 58 anni. Secondo quanto accertato dagli investigatori la droga arrivava in Italia dalla Colombia, via Santo Domingo, su voli aerei di linea, ed era nascosta in casse contenenti statuette decorative destinate a ditte del tutto estranee al traffico dello stupefacente.
I rapporti con i colombiani erano tenuti da Grassi, mentre al suo braccio destro, Roberto Panichi, era affidato il compito di far arrivare la cocaina a Fiumicino. Qui, altri due componenti della banda, Valter Valentini e Roberto Pecci, si occupavano di far uscire lo stupefacente dall'aeroporto facendosi passare falsamente per i rappresentanti delle ditte cui erano destinate le casse. Il pagamento della droga era affidato a cinque libanesi tuttora ricercati in tutta Europa: i soldi venivano nascosti in scatole di scarpe e consegnati ai colombiani dopo aver attraversato numerosi Paesi esteri.
Determinante, ai fini della identificazione dei componenti dell'organizzazione internazionale, è stata l'infiltrazione di agenti italiani ed americani. Dopo gli arresti del gruppo di italiani, avvenuto nel maggio dello scorso anno in seguito alla scoperta di una cassa di statuette contenente i 225 chili di cocaina, gli accertamenti sono proseguiti in America con il contributo del procuratore aggiunto Capaldo e del capo della Squadra Mobile Vittorio Rizzi, fino alla retata di ieri.
Gli investigatori statunitensi, oltre allo stupefacente hanno sequestrato anche 238 milioni di dollari.
