FORLì – L’hanno voluta i compagni e i professori la messa per Rosita, la ragazza di 16 anni che il 17 giugno si è uccisa buttandosi dal tetto del suo liceo a Forlì. E ci sono andati anche i genitori della ragazza, formalmente indagati per istigazione al suicidio. A capo chino, entrando in chiesa da una porta secondaria.
In chiesa una foto in bianco e nero di questa ragazza che sembra uscita dagli anni ’50 rispetto alle sue coetanee: gonne al ginocchio, niente trucco, occhi chiari e pelle candida. Niente Facebook, pochissime uscite, zero autonomia, nonostante una media del 9,25 al liceo classico.
Rosita il 17 giugno è salita sul tetto della scuola. Con un coltello ha iniziato a tagliuzzarsi le braccia. Poi ha girato con una telecamera 30 minuti di video in cui accusava i genitori di renderle la vita impossibile per colpa di un’educazione rigida. Non vere e proprie violenze fisiche, ma un condizionamento psicologico che la ragazzina riteneva insostenibile. Poi ha spento la telecamera e si è buttata giù. Nel suo zainetto, sul tetto, gli inquirenti hanno trovato anche un biglietto:
«Mia mamma e mio padre mi hanno reso la vita impossibile. Spero che ci sia giustizia per questa mia morte. Spero che i carabinieri facciano un’indagine».
I genitori sono indagati: maltrattamenti e istigazione al suicidio. Per Rosita hanno voluto una cerimonia intima e senza fronzoli, una cremazione e solo i parenti stretti per l’addio. I compagni, gli amici e i professori giovedì le hanno dedicato una messa, affollata e colorata. In chiesa, in prima fila, anche i genitori. Il padre, da giorni, ripete una frase: “Non ho niente da dire, preferisco restare in silenzio”. Ora la parola è agli inquirenti, come ha voluto la stessa Rosita.