ROMA – La “doppiezza” e la “falsità” del comportamento di Salvatore Parolisi nel suo rapporto con la moglie e con l’amante Ludovica costituiscono “l’humus psicologico per lo scatenamento della furia” omicida. Così la Cassazione motiva la sentenza del 13 giugno scorso che ha reso definitiva la condanna a 20 anni dell’ex militare per l’omicidio di Melania Rea. Parolisi, secondo i supremi giudici, uccise la moglie in un dolo d’impeto, con 35 coltellate, poi “con lucidità e prontezza” mise in atto una “strategia di depistaggio delle indagini”. Sviò le indagini, provò a cancellare i rapporti con l’allieva della sua caserma di Ascoli Piceno, rese “false informazioni” agli inquirenti.
Come richiesto dalla stessa Cassazione, in una prima sentenza del 10 febbraio 2015, a Parolisi non è stata riconosciuta l’aggravante della crudeltà, che in una prima fase aveva portato alla condanna a 30 anni, ma gli sono state negate le attenuanti generiche invocate dalla difesa.
E’ questo l’ultimo capitolo, col sigillo della Cassazione, del processo all’ex militare, che da una iniziale condanna all’ergastolo, emessa dal gup di Teramo, si è visto, nei successivi passaggi, ridurre la pena a 20 anni per effetto dello sconto per il rito abbreviato e dell’esclusione dell’aggravante della crudeltà. Fu la stessa Suprema Corte a disporre un appello bis, davanti alla Corte d’assise d’appello di Perugia per rivedere la condanna al ribasso. Da lì la sentenza definitiva il 13 giugno di quest’anno.
Motivando la sua decisione, la quinta sezione penale della Cassazione sottolinea come “i riferimenti alla doppiezza e alla falsità del comportamento dell’imputato” (anche dei confronti della sua amante) nella sentenza d’appello giustifichino la mancata concessione delle attenuanti generiche, invocate dalla difesa, che aveva presentato ricorso. E ricorda come anche la corte d’assise d’appello dell’Aquila, nel primo processo, “avesse correttamente considerato la relazione” tra Parolisi e la sua amante non come movente in senso tipico, ma come “antecedente logico e storico di un profondo disagio personale”, che aveva determinato – scrissero i giudici del primo appello – una “strettoia emotiva”. Le condizioni di aggressività si erano infine “sintetizzate” nel momento del delitto.
“Alla mancanza di freni inibitori – scrive ora la Cassazione – espressa dalla prolungata reiterazione dei colpi e all’assoluta mancanza di pietà verso la donna si accompagna, nel percorso argomentativo del giudice del rinvio, il recupero, appena terminata l’azione, del pieno controllo della situazione da parte di Parolisi, che con lucidità e prontezza, riuscì ad imbastire un piano diversivo, volto a sviare le indagini e ad allontanare da sé qualsiasi sospetto”.
A carico di Parolisi, i giudici sottolineano “la complessiva strategia di depistaggio delle indagini”. Strategia consistita “in una pluralità di condotte“, compreso “il vilipendio del cadavere” e “i tentativi di occultamento delle relazione” extraconiugale, “tra i quali la rimozione del contatto tra i due su Facebook”, oltre che “l’occultamento di tracce, le false informazioni e indicazioni fornite agli inquirenti”.