ROMA – Le società partecipate in Italia sono oltre 5 mila e nei vari comuni svolgono la funzione di erogatrici di servizi, da infrastrutture, gas ed acqua fino all’area sanitaria, turistica e sportiva. Ma queste società fungono anche da luogo di riciclaggio per i “trombati” della politica degli enti locali: assessori, consiglieri, componenti dei collegi sindacali escono dalla porta dell’amministrazione comunale e rientrano dalla finestra della società partecipata, dove spesso pur non avendo le necessarie competenze ricoprono ruoli dirigenziali.
La Unioncamere ha stimato a 5.512 il numero di tali società che creano ben 300 mila posti di lavoro attivi in tutto il paese e sono dislocati il 15 mila sedi. Di queste ben 400 sono a partecipazione statale e producono l’11 per cento del Pil nazionale, mentre le restanti 4.600 producono l’1,2 per cento del Pil, con il 63 per cento delle società in utile, l’1 per cento in pareggio ed il 36 per cento in perdita, per un giro d’affari che se messo sul mercato varrebbe 102 miliardi di euro, anche se delle 5 mila solo 3.600 sono tenute a dichiarare un bilancio.
Sempre secondo una stima di Unioncamere, i cui dati più recenti risalgono a giugno 2009, dalle dichiarazioni delle 3600 società che hanno depositato un bilancio è emerso che su 40 mila cariche 22 mila sono andate ai consiglieri di amministrazione, 13 mila ai componenti dei collegi sindacali e 4 mila a dirigenti di alto livello. Dalle stime è anche emerso che ogni consigliere ricopre in media 1,5 cariche in queste società, con alcuni che si avvicinano anche alle 2 cariche.
Il meccanismo di riciclaggio del politico è ora al vaglio della manovra, che vuole tagliare tutte le voci di spreco degli enti locali, tanto che nel comma 19 dell’articolo 4 compare la nuova imposizione: chi ha guidato un azienda pubblica non potrà riciclarsi per almeno 3 anni.