Sofia Goggia sotto occhiuta intolleranza Lgbt. Salvini sotto embargo ego-progressista FOITO ANSA
La sensazione è che vi sia come ufficio segnalazione e controllo, anzi controllo prima capillare e segnalazione poi amplificata, insomma una struttura vigilante. Vigilante sulle parole altrui, anche le più sparse, anche le più marginali. Sofia Goggia che in una intervista al Corriere della Sera in due pagine parla ovviamente di sci, di se stessa, di molto altro inerente alla sua vita e al suo sport e a domanda su omosessualità o no nello sci professionistico risponde: “Tra i maschi non credo, devono buttarsi giù dallo Steif di Kitz…”. E va bene, ha detto una fesseria: il sillogismo tra gay e fisica pavidità non corrisponde a realtà. E’ reale invece l’azione di una sorta di centrale di controllo e comando delle parole altrui. Controllo capillare e occhiuto, comando di immediato pentimento e pubbliche scuse per lesa…
Non è vero ed è anche banale fino all’irrealtà che i gay abbiano la prestanza e le prestazioni fisiche da “femminucce”. Ma non è neanche vero che tutti i gay siano impavidi, coraggiosi, fisicamente prestanti e comunque alieni da vezzi e smorfie. Non valgono sillogismi in materia. Allora perché l’insorgere indignato e ispettivo della varie rappresentanze Lgbt per una piccola, banale, superficiale e in fondo innocua frasetta della Goccia? Perché questa iper suscettibilità, questo sentirsi subito lesi e offesi? Per auto difesa? Purtroppo no. Per intolleranza è la risposta esatta. Esatta e vera. L’intolleranza ormai organizzata che, non senza prepotenza, di fatto esige l’ossequio formale e sostanziale all’irrazionale.
Azzardarsi a definire brutto un gay o volgare un trans è peccato che determina la sollevazione di tutte le organizzazioni e rappresentanze Lgbt. Gay, lesbo, trans, bisessuali e altre identità sessuali secondo sillogismo dell’intolleranza devono essere tutti belli/e ed eleganti e raffinate. L’atteggiamento pubblico e le pubbliche istanze/pretese delle organizzazioni Lgbt somigliano ormai assai da presso al precetto catechistico del “non nominare invano”. Da tempo l’esigenza (non ancora soddisfatta appieno nella realtà sociale) di pari diritti, reputazione e dignità si porta in groppa altra e diversa istanza: quella della superiorità e quindi sacralità di scelta e identità sessuale che non sia quella etero. Superiorità e sacralità che fanno diventare blasfemia anche solo una frasetta sui gay paurosi di fronte al rischio fisico.
Ma dove? Restando in tema di sport nella pretesa che l’atleta trans (da uomo a donna o comunque sia corretto dire) possa gareggiare appunto nelle competizioni femminili. E’ evidente il vantaggio fisico con cui l’atleta trans gareggerebbe competendo con donne, ma l’accesso alle gare viene invocato come un premio dovuto all’identità e alla scelta trans, un premio d’onore, un premio a riconoscere superiorità e sacralità. E questo pensare e agire delle organizzazioni Lgbt non configura generale e universale libertà per ogni individuo portatore di ogni scelta e identità sessuale, configura invece solo l’avvicendarsi della supremazia di una “lobby sessuale” rispetto a quella dominante. Per essere chiari: il passaggio dall’intolleranza eterosessuale di fonte alla “devianza” alla intolleranza Lgbt verso la “normalità”. Non un cambio di paradigma di libertà ma un cambio di lobby di controllo, non proprio un affare per la civile libertà.
A proposito di civile libertà, ma davvero la libertà di procurarsi un figlio non deve conoscere percorsi ed argini di civiltà? Davvero l’idea di “farsi” un figlio è un bisogno di acquisizione che va riconosciuto e soddisfatto? Acquisizione che è concetto e pratica e valore assai imparentato con acquisto. Remunerare una donna perché fabbrichi e allestisca nel suo corpo il figlio/a che, una volta confezionato, verrà consegnato al “committente” (così si chiama non a caso nei relativi contratti) è cosa che debba attirare l’attenzione e l’opposizione solo di Matteo Salvini, cioè solo della destra che spesso si recita (ma non è) bigotta? La donna (e non solo il suo utero) in affitto, la confezione su commissione di un umano da consegnare poi al pagante, la prole come merce da acquisire, anzi come bisogno da soddisfare tramite acquisizione di merce, la genitorialità intesa come diritto assoluto, come voglia che diventa diritto prevalente su ogni diritto e rispetto della donna affittata (nulla vale che sia consenziente, consenziente perché pagata) e prevalente su ogni diritto e dignità dell’essere umano che si va a produrre, commercialmente produrre, davvero tutto questo non tocca e non riguarda il mondo politico, sociale, culturale che si vuole progressista e custode dei diritti detti appunto civili?
Matteo Salvini fa campagna contro il “farsi” un figlio/a affittando alla bisogna una donna, fa campagna contro il comprarsi al mercato due esseri umani (magari pagandone bene uno e secondo contratto e amando e curando l’altro, ma pur sempre comprandoli). Fa campagna, una volta tanto, per una causa civile. Ma va sotto embargo dell’ego-progressismo. Cioè dell’egoismo dell’Io incontinente spacciato e travestito da progressismo e progressione dei diritti.