ROMA – Il caporalmaggiore Salvatore Vacca è morto il 9 settembre 1999 a soli 23 anni di leucemia, contratta dopo l’esposizione a munizioni all’uranio impoverito durante la missione in Bosnia. Ed il ministero della Difesa è responsabile di condotta omissiva per non aver protetto adeguatamente il militare. Lo indica la sentenza della Corte d’appello di Roma che ha confermato la condanna in primo grado del ministero a risarcire la famiglia del soldato per oltre un milione e mezzo di euro. Si tratta, spiega Domenico Leggiero dell’Osservatorio Militare, “di una sentenza storica, perché conferma la consapevolezza del ministero del pericolo a cui andavano incontro i militari in missione in quelle zone e sono sicuro che giovedì prossimo in audizione alla Commissione uranio il ministro della Difesa Roberta Pinotti terrà conto di questa decisione”. Il caporalmaggiore è stato impiegato per 150 giorni in Bosnia come pilota di mezzi cingolati e blindati tra il 1998 e il 1999.
Nella sua attività Vacca ha trasportato munizioni sequestrate, materiale che, scrivono i magistrati, si sarebbe dovuto considerare “come ad alto rischio di inquinamento da sostanze tossiche sprigionate dall’esplosione dei proiettili” e i rischi “si devono reputare come totalmente non valutati e non ottemperati dal comando militare”. Questa condotta omissiva, secondo i giudici, “configura una violazione di natura colposa delle prescrizioni imposte non solo dalle legge e dai regolamenti, ma anche dalle regole di comune prudenza”. Il militare è morto di leucemia linfoblastica acuta e c’è, secondo la sentenza, la sussistenza del nesso causale tra la malattia e l’inalazione di agenti tossici nel corso del servizio in Bosnia. Nell’organismo del militare, infatti, sono state rintracciate svariate particelle di metalli pesanti non presenti per natura nell’uomo e ciò “è la conferma definitiva del reale assorbimento nel sistema linfatico di metalli derivanti dalla inalazione o dalla ingestione da parte del militare nella zona operativa”.