Statali “furbetti” ma salvi: licenziati solo 3 su 100

Statali “furbetti” ma salvi: licenziati solo 3 su 100

ROMA – Il caso del comune di Sanremo, con dipendenti che timbravano il cartellino (o se lo facevano timbrare), poi uscivano in gita, è solo l’ultimo caso. Dei 3,5 milioni di dipendenti statali, solo 6900 (lo 0,2%) subiscono contestazioni disciplinari. Di questi, solo 220 (il 3% dello 0,2%) sono licenziati. “È un problema culturale, non normativo. Puoi fare tutte le riforme che vuoi, ma non cambia niente”, dice a La Stampa dietro garanzia di riservatezza un alto dirigente statale, citando dati del ministero della pubblica amministrazione.

Duecentoventi dipendenti pubblici licenziati in un anno: 99 per assenze ingiustificate, 78 per reati, 35 per comportamenti non corretti verso colleghi, negligenza o inosservanza degli ordini di servizio, 7 per doppio lavoro non autorizzato. Sono molti più dei 35 licenziamenti rilevati dieci anni fa; molti meno rispetto al settore privato, dove la proporzione è fino a dieci volte più alta.

Perché il settore pubblico resta un mondo a parte? Mancano le leggi? Si domanda Giuseppe Salvaggiulo su La Stampa:

Fino al 2009, di fronte a un comportamento grave di un dipendente pubblico, la regola era: aspettiamo la conclusione del processo penale, in caso di condanna lo sanzioniamo. Inoltre per assenteismo fraudolento (dalle false malattie ai furbetti del badge), si ricorreva al licenziamento solo in caso di recidiva.

Risultato: tra lungaggini processuali, prescrizioni, prepensionamenti, cambi di ufficio, pressioni sindacali, complicazioni burocratiche e protezioni politiche, nella maggior parte dei casi finiva tutto in nulla. Un ladro riuscì a ottenere il reintegro nell’ufficio derubato, perché era passato troppo tempo tra sentenza penale e licenziamento disciplinare (il tribunale non aveva trasmesso la carta e nessuno dal Comune l’aveva reclamata!).

Ma la riforma Brunetta ha tolto ogni alibi, con tre innovazioni. Primo: la pubblica amministrazione può sanzionare autonomamente dal giudice penale. Secondo: in caso di assoluzione penale, il dirigente autore del licenziamento preventivo non deve rispondere del danno erariale conseguente alla eventuale reintegrazione del dipendente. Terzo: la truffa del badge è prevista esplicitamente come causa di licenziamento al primo colpo. «Ma pochissimo è cambiato, perché i dirigenti pubblici non si assumono le proprie responsabilità: né sul piano disciplinare né su quello organizzativo», osserva Pietro Ichino, docente di diritto del lavoro e senatore, storico fustigatore dei travet nullafacenti.

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Alessandro Avico