Tra i soccorritori delle vittime della strage sulla A16, il medico Maurizio Abbenante, 57 anni, oltre trenta di professione, anestesista e rianimatore dell’équipe del 118 dell’ ospedale Moscati di Avellino, ricorderà per sempre quei cinque minuti.
Durante quei cinque minuti Maurizio Abbenante è rimasto a parlare tranquillizzandola con una donna di cui ignorava e ignora il nome, mentre insieme con altri medici e i vigili del fuoco la tirava lentamente fuori dalle lamiere dell’autobus.
Poi, proprio quando credeva di averla salvato, se l’è sentita morire tra le braccia.
Nella cronaca del Corriere della Sera, Maurizio Abbenante
“ricorda che «era giovane, non proprio una ragazza, ma giovane» e quindi potrebbe trattarsi di Teresa Restivo, che tra poco avrebbe compiuto 33 anni. Il dottor Abbenante ne ha sentito prima la voce, anzi i lamenti, poi l’ha vista.
«Mi diceva “dottore dottore mi aiuti”.
“Mi sono accovacciato verso di lei, l’ho toccata e le ho detto di chiamarmi Maurizio, perché a me non piace quando mi chiamano dottore. Questo un po’ l’ha calmata, ha cominciato a chiamarmi per nome e a darmi il tu. Ripeteva:
“Mi fanno male le gambe” e io le dicevo che ormai mancava poco e l’avremmo liberata.
Ma lei continuava a lamentarsi: “Mi fa male anche il petto”, però la nostra presenza intorno certamente la faceva essere meno impaurita, anche se qualche volta sussurrava di non farcela più.
“Poi l’hanno tirata fuori e sembrava fatta. Lei ci ha creduto: «Mi ha guardato, ha accennato un sorriso e ha detto: “Ue’ Maurì ce l’hai fatta davvero, mi hai salvata”».
“E invece no, Maurizio non ce l’aveva fatta, perché un attimo dopo Teresa, o chiunque quella donna fosse, ha sbarrato gli occhi e ha smesso di respirare.
“È subentrato l’arresto cardiaco e tutti i tentativi di rianimazione sono stati inutili”.
Il Giornale aggiunge che Maurizio Abbenante ha contribuito a tirare fuori dai rottami del bus 12 persone:
“Nonostante il guard rail penzoloni dalla carreggiata autostradale minacciasse lui e gli altri soccorritori, ha sfidato la morte e si è generosamente lanciato nel bus. «Ho sentito i lamenti, le richieste di aiuto dei bambini, delle donne. Ho incrociato corpi mutilati, orrendamente sfigurati ma, tra tutti quei morti dovevo assolutamente trovare le persone vive. Non potevo tirarmi indietro. Se avessimo atteso la messa in sicurezza del luogo ci sarebbe stato qualche morto in più». spiega il medico, che ha operato in zone di guerra come il Kosovo, ha portato soccorso alle popolazioni de L’Aquila e di San Giuliano colpite dal terremoto. Ha lasciato il dirupo alle 4 del mattino, alle 8 era nel suo ospedale, San Giuseppe Moscati”.