Appena dodici anni. Una vita apparentemente serena, una famiglia di origini cinesi perfettamente integrata nella realtà di Reggio Emilia, il padre quarantunenne fa l’interprete, la madre, 38 anni, casalinga. Poi il dramma, improvviso e apparentemente incomprensibile: alle 17,30 di mercoledì il ragazzino ha aperto la finestra del salone di casa, ha scavalcato la ringhiera del balcone e si è lasciato cadere nel vuoto.
Non c’erano state avvisaglie, dicono concordi genitori e insegnanti della scuola Einstein di via Gattalupa. Eppure una spiegazione l’ha data lui stesso, in un biglietto trovato nella sua camera: «Scusatemi, ma non riesco più ad avere a scuola il solito rendimento».
Il ragazzo non aveva alcun problema scolastico, era anzi considerato uno studente modello. Negli ultimi tempi i voti erano calati, ma nulla di preoccupante. Abbastanza però per scatenare un senso di insicurezza che si è rivelato insopportabile. Al punto da togliersi la vita.
«Misterioso suicidio», ha scritto la Gazzetta di Reggio. In realtà il problema esiste e il fenomeno è in crescita. In Italia i dati parlano di un aumento del 13 per cento negli ultimi trent’anni, passando, secondo i dati Istat, dai 67,8 casi di suicidio di adolescenti per milione del 1973 ai 76,7 del 2002.
Da una ricerca realizzata dall’associazione onlus “L’Amico Charly” su un campione anonimo di 2.312 studenti delle superiori in Lombardia emergono dati più alti rispetto alle stime: il 12 per cento dei ragazzi intervistati afferma di pensare al suicidio, il 10 di essersi fatto intenzionalmente del male o di aver tentato di togliersi la vita. Negli Stati Uniti il 7 per cento degli studenti ha tentato il suicidio e il 14,5 ci ha pensato.
Nel caso di Reggio Emilia è evidente che il calo di rendimento a scuola è stato l’elemento scatenante di un malessere più profondo, di un disagio che nessuno ha saputo intravvedere nei comportamenti del ragazzo. Uno dei segnali d’allarme più diffusi, sostengono gli esperti, è proprio la poca stima di sé. E gli stessi esperti affermano che sono gli insegnanti a non essere culturalmente attrezzati a cogliere questi segnali. Si è spesso parlato della necessità che in ogni istituto scolastico lavori uno psicologo specializzato nella problematica adolescenziale. Ma nella scuola di oggi, ridotta allo stremo dai tagli voluti dal ministro Gemini, questo è un lusso che nessuna scuola può permettersi.
