Telecamera in casa per controllare la moglie: marito condannato a 2 anni e 6 mesi

Telecamera in casa per controllare la moglie: marito condannato a 2 anni e 6 mesi (Foto d’archivio)

ROMA – Severa condanna per il marito che teneva sotto controllo la moglie con una telecamera installata in casa. La Cassazione ha confermato la pena a due anni e sei mesi di reclusione, senza attenuanti, per Vincenzo L. M.palermitano di 55 anni che per anni ha maltrattato e umiliato la moglie con ogni modo e mezzo. Oltre al regime di videosorveglianza, la donna era costretta a un regime di continua prostrazione anche quando lui era assente.

I supremi giudici parlano di “condotte umilianti, ingiuriose e violente” e consistenti nella “privazione delle risorse economiche per fare la spesa e comperare i medicinali, danneggiamenti all’abitazione, gravi offese personali, aggressioni fisiche, monitoraggio mediante l’installazione di una videocamera e di un registratore”.

Per la Suprema Corte, la situazione descritta “evidenzia un regime di convivenza connotato da plurime e frequenti, dunque abituali, percosse, lesioni, ingiurie, minacce, privazioni e umiliazioni tali da cagionare alla vittima uno stato di prostrazione fisica e morale e da configurare appieno la fattispecie incriminatrice dei maltrattamenti in famiglia”.

Con questo verdetto – sentenza 8506 della Sesta sezione penale – la Cassazione ha reso definitiva la condanna emessa dalla Corte di Appello di Palermo il 21 aprile 2016. Senza successo, il marito sopraffattore aveva provato a difendersi sostenendo che la sua “condotta” era “giustificata dal fatto” che la moglie si comportava come una “separata in casa”, e che le “offese verbali” che lui le rivolgeva “costituivano soltanto una risposta alle parole ingiuriose usate d’abitudine” dalla donna.

Secondo l’uomo, non era stato chiarito “in che misura l’installazione di una videocamera e di un registratore all’interno dell’abitazione abbiano costituito condotta idonea ad integrare” il reato di maltrattamenti. Vincenzo L.M. si era anche appellato alla sua condizione di “incensuratezza” e alla “episodicità” dei fatti violenti per cercare di ottenere uno sconto di pena tramite la concessione delle attenuanti. Ma la Cassazione non gli ha dato ascolto e lo ha condannato anche a pagare 1500 euro alla cassa delle ammende.

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Daniela Lauria