«Se ti trovi addosso la mafia, lo Stato ti abbandona». Una conclusione senza mezzi termini quella di Roberto Giurastante, presidente di Greenaction Transnational di Trieste, alle spalle una lunga attività a difesa dell’ambiente e della legalità, ma anche una serie di minacce ricevute, di denunce avanzate e di inchieste dallo stesso esito. «Sono state tutte archiviate, nessun responsabile è stato trovato, e ogni volta ho dovuto riscontrare comportamenti anomali», racconta.
Le prime minacce arrivano nel 2005: dopo che l’ambientalista aveva denunciato la presenza di una discarica costiera in piena zona balneare, qualcuno lascia degli escrementi davanti alla porta della sua abitazione. Passano circa tre mesi e su un muro di un centro commerciale della città appare una svastica assieme a una scritta, a caratteri cubitali: “Giurastante a morte”. Seguono poi attacchi sul sito internet dell’associazione e quello televisivo, sull’emittente del Triveneto Antenna 3, da parte di un giornalista. «Non ero presente alla trasmissione, fui indicato come “ecoterrorista” e come “minaccia da eliminare”, per la battaglia che conduco contro i terminali di rigassificazione nel golfo di Trieste, che verrebbero realizzati in aree ad alto rischio ambientale. Mi si accusò di appoggiare la Slovenia, contro il governo Berlusconi. Un’affermazione del tutto falsa, perché quello che io ho fatto è stato denunciare, attraverso la documentazione che ne comprova le irregolarità, l’anomalia del caso».
Il 6 aprile del 2010 l’ambientalista riceve un’altra minaccia di chiaro stampo mafioso: a Trieste si tratta del primo caso in assoluto. Fuori dalla porta di casa questa volta trova la testa mozzata di una capra nera. Giurastante chiede l’intervento della Digos, poi bloccato su ordine dei Carabinieri, che si presentano sul posto. «Mi hanno detto di buttare la testa della capra nel cassonetto, dato che si trattava di un rifiuto organico: da poco era passata Pasqua, “forse qualcuno si è liberato di una parte della capra uccisa per il pranzo della festa”, hanno aggiunto, ma quella che c’era davanti a casa mia non era la testa di un animale da macellazione». Le indagini durano 26 giorni – durante i quali il diretto interessato è chiamato a deporre raccontando la propria versione dei fatti – ne passano altri 12 e l’inchiesta viene archiviata dal gip Luigi Dainotti, «senza che sia stata effettuata alcuna analisi sul corpo del reato», aggiunge l’ambientalista, che si dice sconcertato riguardo a come siano andati i fatti.
Non si arrende e si rivolge alle istituzioni comunitarie (dove sono state avviate inchieste in merito), sporgendo denuncia alla Comunità europea e presentando una petizione al Parlamento di Strasburgo. Mentre in seguito all’archiviazione dell’inchiesta presenta anche una richiesta di riapertura delle indagini alla Procura della Repubblica di Bologna, competente per la Procura di Trieste, oltre alla richiesta di valutazione dell’operato dei magistrati. C’è un’altra anomalia che emerge infatti in questa faccenda: il pm Pietro Montrone cui era stata assegnata l’inchiesta era incompatibile a condurla – racconta ancora il presidente dell’associazione ambientalista – perché denunciato in passato dallo stesso Giurastante alla Procura di Bologna, all’Ufficio ispettivo del ministero di Giustizia e al CSM, per irregolarità in un procedimento penale.
Nel silenzio dei media e delle istituzioni nazionali, la vicenda dell’ambientalista triestino è invece nota nella vicina Slovenia. E proprio da amici sloveni, lo scorso anno, Roberto Giurastante ha ricevuto un messaggio, in cui si legge che lui “reca troppo disturbo agli ufficiali italiani” e che per questo motivo tutti i servizi italiani avrebbero avuto “indicazione di fotterlo”. Oggi Giurastante è sottoposto a tutela generica perché considerato un soggetto a rischio: «Una volta al giorno le forze dell’ordine controllano le aree attorno al mio ufficio e alla mia abitazione. Io, intanto, continuo nella mia attività di inchiesta sui rigassificatori e sul sistema di smaltimento illecito dei rifiuti nel Nord Est».