Una chiesa, un battesimo, sette anni fa. C’è il bimbo, c’è la madre, c’è il sacerdote che amministra il sacramento. Non c’è il padre o almeno così sembra a tutti. Ma non è un battesimo come tutti gli altri: il padre c’è, anche se non si vede, nessuno lo riconosce come tale. Il padre è quell’uomo con la tonaca, il padre è il prete. Passano gli anni e la donna, ormai cinquantenne, rompe quello che allora doveva essere un accordo, una scelta, la scelta del silenzio. Va da un avvocato, vuole che quella paternità tenuta a lungo nascosta diventi palese, vuole che il figlio sappia chi è suo padre.
Tutto si svolge a Padova e l’avvocato, Maria Pia Rizzo, decide di assistere la donna nella sua battaglia. Battaglia non per i soldi, la madre giura di non volere assegni di mantenimento. Fa sapere di aver organizzato, non racconta come, un test del Dna che avrebbe confermato la paternità da attribuire al sacerdote. Sacerdote di cui la donna non fa il nome, si limita a dire che suo figlio “ha diritto a sapere”. La madre non si aspetta però che il prete presunto padre si faccia avanti: “Sarebbe per lui troppo pericoloso”. La vicenda arriva sul giornale locale, il Corriere Veneto. Qualcuno deve averla raccontata. Parte inevitabile una piccola caccia al “padre-sacerdote” che anima e stuzzica la chiacchiera e la curiosità dei compaesani. Qualche ipotesi di nome e cognome circola, prima o poi si saprà se quella madre ha raccontato tutta la verità, se il prete-papà c’è davvero o se è solo una piccola favola metropolitana.
