
Università di Genova, esami e tesi vendute dal professore: inviava le risposte su WhatsApp FOTO ARCHIVIO ANSA
Il figlio di un armatore, la nipote di un monsignore, fino ai familiari di un manager e di un ex consigliere regionale. Giovani rampolli della Genova bene che si ritrovano nei guai perché aiutati agli esami dell’università alla facoltà di Economia. Aiutati da un professore di liceo che inviava loro le risposte via WhatsApp durante gli esami. Sono 30 le persone che in questi giorni hanno ricevuto l’avviso di conclusione delle indagini. Si tratta di 29 studenti e dell’allora insegnante delle superiori.
Lo scandalo all’università di Genova
“La vicenda mi rattrista molto perché – ha sottolineato il rettore – dà evidenza del venire meno del patto di lealtà tra studente e docente. Un pilastro fondamentale del percorso di studi universitario. L’Università, infatti, non offre soltanto competenze specialistiche nei diversi ambiti di sapere ma ambisce anche a svolgere un ruolo formativo sui valori fondanti della società, a partire dal rispetto delle leggi”.
Le indagini partite a marzo dell’anno scorso
Secondo quanto ricostruito dalla procura e dalla finanza l’insegnante da casa sua suggeriva via WhatsApp alcune risposte d’esame agli studenti. In più, scriveva loro le tesi alla fine del ciclo triennale. I finanzieri avevano trovato il professore a casa sua, cellulare in mano, mentre suggeriva ai propri ragazzi le risposte degli esami. Fra questi Ragioneria, Statistica, Economia della Mobilità Urbana, Politica Economica e Finanziaria. Nel frattempo un militare si era “infiltrato” in una sessione d’esame, e aveva avuto la conferma di come stavano andando davvero le cose.
Il professore, infatti, durante la prova, riceveva dagli esaminandi suoi allievi, tramite chat, una foto del compito; a quel punto lo svolgeva in diretta e lo rinviava con le soluzioni agli studenti. Gli episodi contestati sono avvenuti fra il 2018 e il 2019: sempre secondo gli inquirenti, per ogni tesi il pagamento era di 600 euro, mentre le ripetizioni avevano una tariffa che si aggirava tra i 35 e i 40 euro all’ora, per un totale di 1.200 euro a settimana. Il tutto, rigorosamente, in nero.
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