SALERNO – Per almeno un decennio avrebbero fatto la “cresta” sui fondi per la ricerca: ricercatori precari, dottorandi e borsisti sapevano ma non parlavano per paura di perdere il sostegno dei propri mentori. Quattro professori universitari degli atenei di Salerno e di Benevento sono ora indagati per i reati di truffa ai danni dello Stato e falso. Secondo l’accusa il sistema viveva e prosperava sotto gli occhi di tutti: i professoroni, con la collaborazione di alcuni componenti del personale amministrativo si aggiudicavano sistematicamente finanziamenti pubblici per cifre superiori, anche di due terzi, alle risorse effettivamente necessarie ai progetti di cui erano titolari. I fondi venivano erogati da Comunità Europea e Miur sulla base delle autocertificazioni fornite, poi rivelatesi false.
Riporta Angela Camuso sul Corriere della Sera:
A sostegno dell’ipotesi accusatoria, oltre alle intercettazioni, ci sono i risultati di una serie di perquisizioni effettuate a fine 2013, quando agli accademici furono recapitati gli avvisi di garanzia (anche se la notizia allora non uscì fuori dai muri delle Università).
[…] secondo il pm, erano gli stessi professori a gestire, materialmente, i contributi pubblici. Quali ‘inventori’ di un prodotto frutto dello studio accademico, i professori sono infatti autorizzati dalla legge a diventare soci di quelle società interne all’Università, chiamate Spin-Off, create con un decreto del ‘99 per mettere a disposizione degli atenei un veicolo commerciale per la ricerca.
Le Spin–Off sono in pratica società private che mettono sul mercato i brevetti e l’ottenimento di un finanziamento pubblico permette ad esse di entrare nel circolo virtuoso del mercato della ricerca universitaria, con la possibilità di ottenere nel futuro altri finanziamenti.
Il problema è che, secondo l’accusa, gran parte dei finanziamenti ottenuti venisse sistematicamente speso per altre attività che nulla avevano a che vedere con la ricerca. I docenti iscritti al registro degli indagati, sia ordinari che associati, guadagnano all’anno cifre che oscillano tra i 90 mila e i 200 mila euro. A far scattare le indagini fu la denuncia di un giovane ricercatore dell’università di Salerno che raccontò quanto avveniva nel proprio Ateneo